Me lo chiedono a gran voce, loro:
il mio ferro da stiro, la mia lavatrice, la mia lavastoviglie, il mio robot che
aspira ininterrottamente tutti i santi giorni della settimana puntuale come un
orologio Svizzero, sette giorni su sette! Li sento che si lamentano “Basta!
Basta!”. E perché? Vogliamo forse non dar voce al mio pc e al mio tablet che
fanno da sempre le ore piccole? Possiamo non ascoltare i loro lamenti? “E che
diamine! In questa casa non c’è più criterio!”.

Oh, quasi dimenticavo! Come posso
averlo scordato? Non sono assolutamente democratica. Di tutti i collaboratori
involontari e assolutamente preziosi che sostengono la mia esistenza, ho
trascurato proprio lui: il mio cellulare!
Oggetto moderno più che mai
indispensabile, irrinunciabile, presenza fissa della mia esistenza, presente e
futura. Lui c’è! E’ proprio così, c’è sempre. Ci penso e non riesco a capacitarmi
di come un oggetto così piccolo possa contenere contemporaneamente desideri,
gioie, tristezze, paure. Eppure doveva servire solo a comunicare con maggior
facilità, doveva al limite supportarci nelle attività lavorative,
organizzative, pragmatiche.
E invece?
Invece si è trasformato nel
custode della nostra anima, dei nostri ricordi, dei nostri affetti e della
nostra socialità. Allora forse sarà per questo che non riusciamo, ma proprio
non ce la facciamo a separarci da lui? A spegnerlo? A lasciarlo a casa? Per
questo non riusciamo a silenziarlo quando siamo a casa o durante una serata
fuori? Per questo ci risulta più facile silenziare chi ci sta vicino anziché il
nostro cellulare?
Me lo chiedo davvero, una domanda
profonda: perché la sera, dopo che la giornata di lavoro è finita, noi non
riusciamo a spegnere il telefono?
Troppo alta la richiesta?
Abbassiamo! Per l’ora di cena? Abbassiamo! Per 30 minuti? Abbassiamo di
nuovo. Per il tempo necessario a parlare
con i nostri figli rientrati una volta riuniti a casa? Abbassiamo
definitivamente. Per l’attimo sufficiente a guardarli negli occhi i nostri
figli e dire loro “Ciao, hai passato una buona giornata?”
E’ ancora troppo il tempo di
GUARDARE NEGLI OCCHI? E se abbassassimo ancora la richiesta? Che cosa ci resta?
Forse la fotografia del nostro sguardo da inviare loro tramite whatsapp.
Sono cinica, lo so. Drammatica e
antiquata, anche. Ma, vedete, incontro tanti genitori, tanti insegnati, tanti
istruttori, educatori con la E maiuscola e tra loro molte, moltissime persone
semplicemente rassegnate che utilizzano frasi come “ai nostri tempi non era
così, non c’era la tecnologia, e bla bla bla”. Ascolto e penso “Davvero è colpa
della tecnologia?”. Forse. O forse dovremmo semplicemente fermarci (cosa
assolutamente fuori tempo visto il mantra che ci vuole tutti sul pezzo, tutti
collegati, tutti efficienti e impattanti). Ma se ci riuscissimo? Se riuscissimo in questo
“miracolo” di fermarci potremmo riflettere su quali bisogni nasconde la
dipendenza da cellulare. Potremmo avanzare anche ipotesi e possibili soluzioni
di liberazione. E sapete perché mi faccio questa domanda? Per il semplice fatto
che NOI ADULTI chiediamo, anzi intimiamo ai nostri figli, generazioni nate CON
queste tecnologie, di smettere, di lasciare quei benedetti” telefonini, di
ascoltarci. Ma noi siamo i primi a non riuscire a smettere. E allora che
educatori siamo? Cosa chiediamo loro e cosa mostriamo loro? Ma certo, diranno
in molti, per noi è diverso, noi lavoriamo. E già, altra questione pregnante:
se è lavoro, allora tutto, ma proprio tutto, passa in seconda piano? E in
questo caso cosa stiamo dicendo loro? Ciò che diciamo con le nostre azioni ha
un peso enorme rispetto a ciò che diciamo con le parole. Una lotta impari:
azioni vs parole. E continuiamo senza nemmeno accorgercene. Chiediamo ai nostri
figli di ascoltare mentre non li ascoltiamo, di guardarci mentre non li
guardiamo, di smettere mentre non smettiamo. Chiediamo loro di esserci mentre
loro vedono un genitore assente, sempre di corsa, che cerca di districarsi fra
mille impegni incastrati in agende che, proprio non capisco come mai, sono
sempre così piccole…
Cosa ci resta allora se non
lanciare una sfida nuova. Una sfida che può essere abbraccia da chiunque di noi
abbia pensato, almeno una volta nella propria di vita di genitore, che qualcosa
non va.
Ecco la nostra sfida:
- Scegliete un tempo
da condividere coi vostri figli
- Togliete tutti i
tipi di suoneria e vibrazioni dal telefono
- Scrivete sui vari
social “chiedo perdono al mondo ma dovrà sopravvivere senza di me, io sono
impegnato con la mia famiglia”
- Dedicatevi
ad attività di condivisione gradevoli e rassicuranti coi vostri figli
Buon esperimento a tutti e.... fateci
sapere come è andata!