Questo vuole essere il racconto di un mondo in blu. Di una visione che da ombra diventa luce. Perché ci si può divertire. Perché si ha il diritto di farlo. Perché vedere oltre ci permettere di vedere e costruire anche quando tutti dicono che non si può. Anche quando ti fanno credere che non si possa. Ma tu lo sai che non è cosi e alla fine invece scopri che si può.
M. non parla. Lui è grande, ha sedici anni, ma non parla. Non ha mai parlato. Dicono che abbia una forma gravissima di autismo e questo ha compromesso le sue funzioni comunicative. Anche quelle psicomotorie e cognitive sono compromesse. Cammina in modo goffo e non riesce a tenere le posate per mangiare. Ha molte stereotipie. Si dondola per la maggior parte del tempo; emette dei suoni gutturali intermittenti e spesso, quasi sempre, lancia gli oggetti. Dicono che io sarò la sua educatrice. Quando conosco M. cerco di nascondere la mia preoccupazione alla sua mamma. La sua mamma mi racconta la sua storia, con un dolore lacerante negli occhi nascosto da un enorme sorriso accogliente. La sua mamma è una donna speciale e meravigliosa. E’ una donna competente, combattiva, coraggiosa. M. è il primo di quattro figli. Lei sorride sempre anche se so che, dentro, il suo cuore è spezzato. Mi racconta di aver provato tutte le forme di comunicazione aumentativa possibili ma lui non ha mai collaborato e allora lei alla fine ha deciso che andava bene così. Lei chiede a M. di fare delle cose e lui le fa. Gli chiede di andare in bagno perché la vasca è pronta e lui va, si siede e aspetta di immergersi nell’acqua calda. Magari nel frattempo, strada facendo, ha trovato un oggetto abbandonato sul tavolo, lo ha preso e lo ha lanciato. Lei lo rimprovera e lui fa qualcuno dei suoi versi gutturali. Magari ride. Io li osservo. La casa di M. è fatta su misura per lui. Non ci sono pericoli in giro. Non ci sono soprammobili che lui può lanciare o piccoli oggetti che può inghiottire (beh sì, lui a volte mette in bocca le cose, le mastica e le deglutisce). La mamma mi racconta e mi mostra la stanza per M. Un pavimento di linoleum azzurro morbido, un tappeto elastico per saltare, pupazzi o palle morbide da lanciare. Un posto tutto suo dove può stare in sicurezza. Anche da solo se la mamma ha da fare. E da fare in una casa con quattro figli c’è sempre. Io le sorrido e la ascolto mentre racconta di lui. Ma dentro di me io sono molto preoccupata. Cosa farò con M. per un intero anno scolastico? Ai miei occhi, adesso come adesso, mi sembra impossibile costruire un progetto educativo. Su cosa dovrei lavorare? Sulla comunicazione? Sull’educazione alimentare? Su cosa? Questi pensieri mi tormentano a pochi giorni dall’inizio della scuola. Mi è già capitato di lavorare con bambini colpiti da patologie molto gravi. Ma dicono che M. sia un caso complesso. Difficile. Dicono tante cose di lui. Dicono che lui non possa comprendere il linguaggio verbale nemmeno nelle sue forme semplici. Dicono che non acquisirà mai nessuna autonomia. Dicono di fare quello che posso. Io ascolto e molte delle cose che sento mi fanno un pò paura. Ma questo non lo dò a vedere. La paura non mi ha mai fermata e non mi fermerà ora. Ascolto. Penso. Rifletto. Cerco soluzioni. E alla fine decido.
Poi la scuola inizia e io resto
sola con M. E allora penso a quello che ho deciso. Ho deciso che proverò a fare
tabula rasa di tutto quello che dicono. Proverò a vedere da sola. Proverò a
capire, a vedere oltre se possibile. Ci proverò. D’altra parte abbiamo un lungo
anno scolastico insieme da vivere. Osservo M. Lui a volte ride da solo. Ride di
gusto. E io rido con lui. Altre volte piange e io non so perché. Non so se sta
male. Non so se è triste. Non riesco a capirlo e lui non riesce a dirmelo. Però
capisco che gli piace la carta, soprattutto quella dei giornali. Gli piace
strapparla a coriandolini. Oppure a striscioline da impugnare come un mazzo di
fiori da scuotere davanti alla faccia per poterci soffiare sopra. Gli piacciono
gli abbracci e gli piace tirarmi i capelli. Lui vuole che io li tiri a lui.
Piano piano. Questo lo fa ridere. Quando è in vena impugna i pastelli e fa dei
cerchi su un foglio. Poi lancia il pastello. Lanciare le cose è uno dei suoi
momenti migliori. Afferra, guarda e lancia. Occhiali da sole, bicchieri di
plastica, pacchetti di fazzoletti. Lanciare e strappare. Lanciare e strappare.
Mani. Mani e piedi. Mani, piedi e corpo. Luce…ecco quello su cui lavorerò. Ecco
come si intitolerà il mio progetto educativo di quest’anno “Dalle mie mani….al
mio corpo”. Un percorso sensoriale da toccare, esplorare, lanciare. Un percorso
dal solido al liquido. Vaschette piene di ceci, lenticchie, farina, farina
bagnata, tempera, acqua…lasceremo la nostra impronta. Faremo un sacco di
fotografie. E poi ricostruiremo il nostro percorso insieme.
Come piace a M. mettere le mani
nelle cose! A volte ha un po’ paura. Ci sediamo sul tappeto blu e mettiamo la
bacinella fra noi. Gli chiedo di darmi la mano e lui me la dà. La metto
delicatamente fra i ceci e lui la ritrae subito. Ha paura. “No, stai
tranquillo, è tutto apposto! Guarda!” e
gli mostro una manciata di ceci che poi faccio cadere dall’alto. Fanno rumore.
Lui guarda con la coda dell’occhio, mentre si dondola e lancia qualche verso.
Lo rifaccio. Allora M. allunga la mano e me la porge e fa un verso. Mi sta
dicendo di metterla nei ceci. Io ne prendo un po’ e li faccio cadere sulla sua
mano. Sorride. Poi fa di nuovo il verso e allunga la mano. La prendo e la metto
nella vaschetta. Il nostro percorso ha inizio. Un percorso fatto di cose da
toccare. Di grandi fogli appesi alle pareti da dipingere con le mani, a grandi
cerchi. E di altri da mettere a terra per camminarci sopra coi piedi
impiastricciati di colore blu. Una strada da percorrere insieme. Un percorso fatto di farina da lanciare. Di
carta colorata da strappare….”Oh mamma, abbiamo fatto un disastro…” rido e mi
guardo in giro. Adesso M. sa gettare la carta appallottolata nel cestino. Mi
aiuta a riordinare. “Per favore M., buttala nel cestino”. Si alza, cammina col
suo modo goffo verso il cestino e la butta. A volte ci prova ancora a lanciare
il cestino e io faccio la faccia arrabbiata ma lui è già andato a sedersi e a
strappare altra carta. Abbiamo fatto un grande lavoro insieme. Abbiamo
preparato un bel dvd da regalare alla mamma che si è emozionata e ci ha detto
che siamo stati bravissimi. Poi abbiamo fatto un altro anno insieme. Abbiamo
creato un bel calendario da appendere e da regalare. Due anni di piccoli grandi
cose, partite dal nulla. Se ho imparato cos’è l’autismo? Certo che no! Per
impararlo dovrei conoscere le migliaia di bambini che ne sono affetti. Dovrei
conoscere le loro storie, le loro caratteristiche, le loro possibilità. E forse
ancora non ne saprei nulla. Ma una cosa di sicuro l’ho imparata. E’ importante
e utile armarsi di conoscenza, di strumenti, di abilità perché fanno parte del
nostro bagaglio di educatori. Ma altrettanto importante è sapersene spogliare al
momento giusto per essere liberi di guardare, di ascoltare, di osservare. Per
essere liberi di tornare alle origini. Per sapersi rimettere in gioco. Per
costruire. Per non lasciare che siano sempre gli altri, i preconcetti, le
diagnosi, la patologia a dire che, ma
per diventare noi qualcuno capace di scrivere e raccontare una storia diversa.
Questo è il racconto di una sola, singola storia senza nessuna pretesa di generalizzazione. E' il racconto di un punto di vista, di un percorso che abbiamo vissuto con luci e ombre, con difficoltà e sorrisi. Le storie sono tantissime. Non vogliamo portare tristezza ma luce. Speriamo di portarla. Questa storia vuole parlare di questo. Essere operatori e non farsi fermare da niente. Cercare sempre di vedere più in là del nostro naso. Di quello che tutti dicono. Entrare in punta di piedi nelle storie, conoscerle e dare il proprio contributo personale prima che professionale. Senza buonismi o falsi moralismi. Persone con persone. Vite con vite. E costruire. Ci siamo davvero divertiti in questo percorso. Abbiamo pasticciato, dipinto, creato, distrutto, preso e lanciato. Ho visto gli occhi di un ragazzo sorridere.
Questo è il racconto di una sola, singola storia senza nessuna pretesa di generalizzazione. E' il racconto di un punto di vista, di un percorso che abbiamo vissuto con luci e ombre, con difficoltà e sorrisi. Le storie sono tantissime. Non vogliamo portare tristezza ma luce. Speriamo di portarla. Questa storia vuole parlare di questo. Essere operatori e non farsi fermare da niente. Cercare sempre di vedere più in là del nostro naso. Di quello che tutti dicono. Entrare in punta di piedi nelle storie, conoscerle e dare il proprio contributo personale prima che professionale. Senza buonismi o falsi moralismi. Persone con persone. Vite con vite. E costruire. Ci siamo davvero divertiti in questo percorso. Abbiamo pasticciato, dipinto, creato, distrutto, preso e lanciato. Ho visto gli occhi di un ragazzo sorridere.
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