Sì, lo so, adesso scriverò una
parola che non piace, una parola difficile e scomoda, ma la scriverò comunque e
lo farò in maiuscolo. E non solo la scriverò ma costringerò tutti voi a
leggerla e a farla entrare nella vostra mente. Una parola che oggigiorno tutti
rifuggono in quanto orribile e assolutamente da evitare, non vintage ma vecchia
e obsoleta. La parola che scriver è: RINUNCIA. Ecco. L’ho scritta. E
mentre la scrivo vorrei tanto che con uno schiocco di dita molti di noi la facessero propria. Vorrei che diventasse finalmente una scelta quotidiana di una
buona fetta del genere umano. Vorrei che fosse così perché, se succedesse, in
un attimo sparirebbero decine di situazioni paradossali e assurde a cui ho
dovuto assistere. Sparirebbero i
terribili momenti in cui i bambini di sei mesi piangono dentro ai cinema
bui per assecondare l’ego di genitori che vogliono vedere la prima dell’ultimo
film di Harry Potter. Sparirebbero anche quelli in cui bambini di un anno e
mezzo passano intere giornate dentro a una soffocante sala congressi distratti
solo da qualche passeggiata su e giù per le scale e da un trattorino di legno
per permettere alla mente della loro madre di assimilare nozioni pedagogiche
(sì, pedagogiche…l’apoteosi dell’assurdo). Sparirebbero i bambini che dormono
sulle sedie delle sale bingo. Sparirebbero quelli che giocano sulle scale di
una discoteca. Quelli, piccolissimi, che piangono nei ristoranti nel cuore
della notte. Se una parte dell’umanità imparasse il senso profondo della rinuncia
potrebbe diventare libera. Libera dal proprio smisurato ego. Libera dagli
armadi pieni di vestiti etichettati, dalla sfrenata corsa al consumismo, dalle
gare di popolarità a tutti i costi, dalla legge della giungla. Se solo
imparassimo a lasciare il passo, a dare la precedenza, a fare un passo
indietro. Se solo scegliessimo di dire “posso farne a meno”! Se madri e padri
sapessero che nella rinuncia di oggi si costruisce la relazione di domani coi
propri figli. Se solo sapessimo quanta memoria ha l’assenza, quanta memoria ha
l’inconcluso, il lasciato da parte. Se solo sapessimo che per ogni bambino che
dorme sotto un tavolo c’è uno squarcio nella dignità dell’essere genitore.
Rinunciare non significa annullare ma rimandare. C’è un tempo per ogni cosa e
il tempo della genitorialità è il tempo della scelta. I nostri bambini non sono piccoli
per sempre e scegliere di rinunciare per esserci non è perdere ma guadagnare.
Dedicarsi tempo per sé è un diritto sacrosanto che ognuno di noi ha ma che non
deve ledere il diritto dei nostri bambini a essere bambini. Se il nostro
diritto a una serata danzante corrisponde al dovere dei nostri bambini di
addormentarsi su un divanetto del locale allora lì, in quel momento, noi
perdiamo il nostro diritto a favore di un altro, inviolabile,
intoccabile, ineliminabile diritto: quello dei nostri figli di chiederci di
RINUNCIARE!!!
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