Questo blog è scritto a quattro mani. Quando leggerete troverete l'essenza di noi. Leggerete la nostra esperienza di vita, come mamme e come educatrici. Questo blog è la nostra visione pedagogica. Questo blog siamo noi! Il nostro motto è: L'ESPERIENZA DEGLI EDUCATORI AL SERVIZIO DEI GENITORI! Aiutateci a rendere speciale questo blog con le vostre condivisioni e i vostri commenti...

giovedì 3 maggio 2018

Specchio, servo delle mie brame


Vuoi vedere che ho sbagliato?
Per anni, che mi sembrano infiniti a dire il vero, sono stata convinta che lo specchio fosse al servizio della Regina e che lei avesse il comando. Ah, quale inganno!
Povera regina illusa e che convinta della propria illusione continua a ripetere: "specchio, servo delle Mie brame…". Ma non vi è inganno peggiore perchè la verità è un’altra. La verità è che oggi, mai come prima, l’immagine è "noi" e noi siamo la nostra immagine. Specchio, padrone delle mie brame!
Per lui siamo disposti a tutto. Vestiti, casa, macchina, vacanze, fidanzato, matrimonio o convivenza, a dipendenza dalle mode, e ovviamente figli. Sono crudele? Forse, o forse sono solo un’osservatrice che raccoglie i pezzi e li ricompone. E quello che osservo è che, a proposito di specchi, i nostri figli sono essi stessi il nostro specchio delle brame. Lo sono in tutto. E non parlo solo di vestiti o estetica ma anche, e soprattutto, di educazione. I nostri bambini devono rispecchiare l’idea che noi abbiamo di figli perché, se sono lo specchio di ciò che siamo, allo noi siamo ciò che sono i nostri figli. E quindi sia mai che loro piangano, che loro siano in errore, che vengano rimproverati. Sia mai che cadano o inciampino. Noi non possiamo permetterlo. Non possiamo, e non in difesa loro ma in difesa di noi stessi, del nostro narcisismo genitoriale. La nostra identità di buon genitore ne viene meno. Viene intaccata l’immagine riflessa nello specchio della nostra capacità genitoriale.
E allora la domanda è: “E’ vero che i bambini non sanno accettare la frustrazione?”. Vero, verissimo! Ma la domanda ancor più grande è: “E’ vero che gli adulti sono altrettanto incapaci di farlo?”. Osservo ciò che vedo e ai genitori vorrei dire: “Lasciate sbagliare i vostri figli, lasciateli cadere pur restando accanto a per insegnargli a rialzarsi, per insegnargli ad imparare dai propri errori, per insegnar loro ad essere più consapevoli del fatto che tutti, ma proprio tutti, sbagliamo. Non cercate sempre di sostenerli con corde che non appartengono loro. Non anticipate ogni mossa. Non coprite sempre loro le spalle perché l’errore è la roccia su cui si basa l’apprendimento!”. Ma quanto è difficile rompere lo specchio? Quanto è difficile agire per liberare anziché agire per incatenare? Sopportare la frustrazione di un pianto? Trattenersi dal trattenere? Superare il desiderio di anticipare le cadute? Difficile, lo sappiamo. Eccome se lo è! Ma non si dice forse che la scienza avanzi per tentativi ed errori? E la vita non fa forse lo stesso? E allora perché noi assolutamente non possiamo vedere i nostri figli sbagliare? Perché siamo convinti che i loro errori mostrino di noi il riflesso di ciò che non vorremmo vedere?
Grande il desiderio di dire "Specchio, servo delle mie brame, mostrami chi è la più brava del reame!", ma più saggio sarebbe rompere quello specchio e liberarsi dall’immagine che immaginiamo per accettare la sfida del divenire e del comprendere!










venerdì 6 aprile 2018

L'educazione al nulla


Siamo rientrati dalle vacanze pasquali e, per chi come me lavora nella scuola, è il momento di ripartire, di riprendere la strada ma, verso dove?
Mi guardo attorno e mi sento come in stallo. Vedo programmi, testi, metodi, laboratori di ogni tipologia, specialisti con qualunque specializzazione, corsi di formazione da intraprendere per implementare le competenze. Vedo infiniti elenchi puntati da spuntare e ho come l’impressione di trovarmi dentro una lavatrice con inserita la centrifuga a 1400 giri, il che, devo dire, ha i suoi innumerevoli vantaggi ma quando ha a che fare con questioni formative ed educative temo proprio non sia così utile perché, a furia di fare e dover far fare mille cose ai nostri bambini, finiamo per vivere con l’ansia da prestazione e per farla vivere a loro già a quattro anni. Non se ne può più! Ci siamo ormai convinti che per essere bravi, competenti e quindi competitivi si debba necessariamente fare tanto, fare TUTTO. Ma siamo sicuri che il tutto sia ciò che ci occorre per vivere, per “essere”? E se sì, per fare cosa? Per andare dove?

A questo punto ho preso una decisione: dedicarmi all’educazione al nulla.
Sì, proprio così! Al vuoto, al buio, al silenzio, all’attesa. Scelgo di tornare ad educare alle antiche competenze: al sapersi fermare, corpo e mente, al sapersi svuotare, al sapersi estraniare dal tutto per ri-trovarsi, auto-accudirsi, auto-curarsi e amarsi.
Allora, a fronte di questa riflessione e certa della mia ipotesi, sperimento! Sperimento a scuola e scopro immediatamente che la mia richiesta è elevatissima! Non è un test di algebra, non è un tema di greco e nemmeno un esame d’inglese, che ormai usiamo più della nostra lingua.
No! La mia richiesta sembra, in apparenza, molto semplice. Chiedo ai bambini di fermarsi, di fermare il loro corpo, di chiudere gli occhi e rimanere lì, così, solo per qualche istante. Ma in quell’istante è immediatamente evidente che questa mia richiesta è troppo. Capisco di aver chiesto loro di rifugiarsi in sè stessi, di isolarsi da tutto ciò che li circonda, di chiudere vista ed udito, di scendere dentro sé per cercarsi ed incontrarsi con se stessi. Ma perché questa richiesta è così elevata? Ora credo di dover riflettere su questo, a occhi chiusi e ad occhi spalancati. Credo sia fondamentale chiedersi perché queste nuove generazioni non riescano a chiudere gli occhi, a restare fermi, a non fare niente. Fondamentale chiedersi se è veramente perduta la “capacità innata dell’essere umano, presente già dai primi giorni di vita, di connettersi col proprio spazio interiore passando attraverso il proprio corpo”. E chiedersi, infine, se sia possibile riappropriarsi di questa competenza “archetipa”.
Muoversi in continuo è corretto? Percepire sempre stimoli a livello acustico e visivo è corretto? Forse dovremmo interrogarci su come agire per ricondurre all’equilibrio perché io credo che tutto abbia significato se può trovare equilibrio. Così come la notte e il giorno, il nutrimento e il digiuno, la veglia e il sonno così anche l’ascolto e il silenzio, il movimento e la stasi.
Per questo ciò che vorrei fare da oggi è dedicarmi all’educazione al nulla con la viva speranza di donare ai bambini la capacità di ritrovarsi, di ritrovare il proprio spazio dove essere solo e semplicemente loro stessi senza nessun’altra richiesta.





venerdì 5 gennaio 2018

Il tempo del non-tempo

I luoghi comuni su una società che corre troppo ormai sono più che conosciuti. Eppure le cose non cambiano. Eppur tutto si muove...E noi quanto siamo realmente capaci di rallentare e attendere? Quanto siamo propensi ad ascoltare il richiamo di un corpo e di una mente che ci chiedono di ritrovare la dimensione del riposo e della pace?
Tutti corriamo, tutti ci prodighiamo, tutti ci diamo da fare per stare al passo, produrre, creare, avere obiettivi, inseguire vision e mission e sembra quasi che chi non ne abbia, o non ne cerchi, non sia abbastanza ambizioso e capace. Ci hanno insegnato che la vita non ci regala niente e che dobbiamo andare a prenderci quello che vogliamo, dobbiamo lottare, sudare, passare il nostro tempo alla continua ricerca e rincorsa del benessere, dello status e di chissà che cosa altro. E dopo aver corso tanto finiamo col ritrovarci sfiniti e stressati a iscriverci a corsi di meditazione zen, di yoga trascendentale e di meta-comunicazione astrale.  Decidiamo che dobbiamo ritrovare noi stessi e allora segniamo in agenda l’appuntamento fisso del mercoledì sera in cui, almeno per un’ora, tentiamo di concentrarci su noi stessi, sui nostri bisogni spirituali e sulla nostra sfera privata. E lo facciamo. Per quell’ora.
Poi ricominciamo. Torniamo a correre, affrettarci, avvampare. Dimentichiamo il ritmo orientale dei corsi a pagamento e prendiamo la metropolitana dello stress quotidiano. Così viviamo. Ogni giorno.
La consapevolezza di questa contraddizione fa riflettere. Fa pensare a quanto ci stiamo perdendo in questa continua rincorsa all’oro. “Lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare?” si domandava qualcuno. E in questo vortice trasciniamo anche i nostri piccoli che a cinque anni vengono presi, portati, lasciati, ripresi, in un rito senza fine e che dopo tutto questo hanno bisogno del corso di meditazione infantile per ricordarsi di essere bambini e imparare a gestire la rabbia verso chi li costringe ad essere altro. Che senso ha tutto questo? Dove li stiamo traghettando? In un futuro in cui avranno iniziato a correre troppo presto e smetteranno di farlo troppo tardi? Cosa scegliamo di essere per loro? Cosa vogliamo che siano per se stessi?
A volte non è solo il corso di yoga quello di cui abbiamo bisogno. A volte dobbiamo fermarci per praticare l’introspezione, la narrazione di noi, la ricerca del vero significato della nostra esistenza per trovare la risposta che cerchiamo. Ma fa paura fermarsi. Fa spavento avere tempo da dedicare alla noia, all’ozio, al dolce far niente. Ci attanagliano i sensi di colpa del tempo perso, di tutto quello che abbiamo da fare e non stiamo facendo. 
Ma qual è davvero il tempo che stiamo perdendo? Che cos'è ciò che davvero può fare bene a noi, ai nostri figli con noi, e alla nostra anima?
Ecco io credo che ciò di cui abbiamo bisogno sia ritrovare il tempo del non tempo, il luogo del non luogo, per sapere di essere esattamente dove si è, nel momento in cui si è e con chi si vuole veramente essere. Questo cura il nostro spirito e, di conseguenza, il nostro corpo che forse smetterà di urlare sordo rimanendo inascoltato fino a quando non ci accorgeremo che il nostro tempo è ormai trascorso.