Siamo rientrati dalle vacanze
pasquali e, per chi come me lavora nella scuola, è il momento di ripartire, di
riprendere la strada ma, verso dove?
Mi guardo attorno e mi sento come
in stallo. Vedo programmi, testi, metodi, laboratori di ogni tipologia,
specialisti con qualunque specializzazione, corsi di formazione da intraprendere
per implementare le competenze. Vedo infiniti elenchi puntati da spuntare e ho
come l’impressione di trovarmi dentro una lavatrice con inserita la centrifuga
a 1400 giri, il che, devo dire, ha i suoi innumerevoli vantaggi ma quando ha a
che fare con questioni formative ed educative temo proprio non sia così utile
perché, a furia di fare e dover far fare mille cose ai nostri bambini, finiamo
per vivere con l’ansia da prestazione e per farla vivere a loro già a quattro
anni. Non se ne può più! Ci siamo ormai convinti che per essere bravi,
competenti e quindi competitivi si debba necessariamente fare tanto, fare
TUTTO. Ma siamo sicuri che il tutto sia ciò che ci occorre per vivere, per
“essere”? E se sì, per fare cosa? Per andare dove?
A questo punto ho preso una
decisione: dedicarmi all’educazione al nulla.
Sì, proprio così! Al vuoto, al
buio, al silenzio, all’attesa. Scelgo di tornare ad educare alle antiche competenze:
al sapersi fermare, corpo e mente, al sapersi svuotare, al sapersi estraniare
dal tutto per ri-trovarsi, auto-accudirsi, auto-curarsi e amarsi.
Allora, a fronte di questa
riflessione e certa della mia ipotesi, sperimento! Sperimento a scuola e scopro
immediatamente che la mia richiesta è elevatissima! Non è un test di algebra,
non è un tema di greco e nemmeno un esame d’inglese, che ormai usiamo più della
nostra lingua.
No! La mia richiesta sembra, in
apparenza, molto semplice. Chiedo ai bambini di fermarsi, di fermare il loro
corpo, di chiudere gli occhi e rimanere lì, così, solo per qualche istante. Ma
in quell’istante è immediatamente evidente che questa mia richiesta è troppo.
Capisco di aver chiesto loro di rifugiarsi in sè stessi, di isolarsi da tutto ciò
che li circonda, di chiudere vista ed udito, di scendere dentro sé per cercarsi
ed incontrarsi con se stessi. Ma perché questa richiesta è così elevata? Ora
credo di dover riflettere su questo, a occhi chiusi e ad occhi spalancati.
Credo sia fondamentale chiedersi perché queste nuove generazioni non riescano a
chiudere gli occhi, a restare fermi, a non fare niente. Fondamentale chiedersi
se è veramente perduta la “capacità innata dell’essere umano, presente già dai
primi giorni di vita, di connettersi col proprio spazio interiore passando
attraverso il proprio corpo”. E chiedersi, infine, se sia possibile
riappropriarsi di questa competenza “archetipa”.
Muoversi in continuo è corretto?
Percepire sempre stimoli a livello acustico e visivo è corretto? Forse dovremmo
interrogarci su come agire per ricondurre all’equilibrio perché io credo che
tutto abbia significato se può trovare equilibrio. Così come la notte e il
giorno, il nutrimento e il digiuno, la veglia e il sonno così anche l’ascolto e
il silenzio, il movimento e la stasi.
Per questo ciò che vorrei fare da
oggi è dedicarmi all’educazione al nulla con la viva speranza di donare ai
bambini la capacità di ritrovarsi, di ritrovare il proprio spazio dove essere
solo e semplicemente loro stessi senza nessun’altra richiesta.