Questo blog è scritto a quattro mani. Quando leggerete troverete l'essenza di noi. Leggerete la nostra esperienza di vita, come mamme e come educatrici. Questo blog è la nostra visione pedagogica. Questo blog siamo noi! Il nostro motto è: L'ESPERIENZA DEGLI EDUCATORI AL SERVIZIO DEI GENITORI! Aiutateci a rendere speciale questo blog con le vostre condivisioni e i vostri commenti...

mercoledì 27 gennaio 2016

Il dono della sensibilità

A Natale una persona cara mi ha regalato un libro intitolato proprio così. All’interno vi ho trovato una dedica personale e toccante. Non vi nego la grande gioia che questo mi ha dato. Non era un libro nuovo. Era un libro usato, letto, appuntato e vissuto. Un libro in cui questa persona ha ritrovato me tanto da farmelo avere in regalo. Ho provato grande felicità nel sapere di aver dato a questa persona coraggio e supporto nel momento del bisogno e nel sapere di avere lasciato un segno nella sua vita. Naturalmente ho letto questo libro. Ma principalmente ho riflettuto sul titolo: IL DONO DELLA SENSIBILITA’.
Inizialmente si potrebbe pensare che questo dono sia inteso come un dono del cielo. Una dote innata che una persona ha o non ha al momento della sua nascita e fin anche dal concepimento. Forse è così. Forse le persone sono o non sono sensibili solo per dote naturale e disegno divino.
 In verità, da educatrice quale sono io, penso che la sensibilità non sia solo una dote personale. Credo che la sensibilità sia un aspetto umano al quale possiamo educarci ed educare i nostri figli. Mi fermo un momento e penso a quanta mancanza di sensibilità ci sia oggi nel mondo. L’assenza completa di pensiero verso l’altro e per l’altro. L’incapacità di lasciare parole in sospeso nella nostra mente prima di spararle come raffica di mitra sulle persone che ci circondando disinteressandoci dei loro sentimenti. La mancanza di sensibilità come superficialità. Come lontananza dall’altro per quanto vicino possa essere. Come assenza di sentimenti di empatia, di compassione, di accoglienza. Come eccesso di superbia, egocentrismo e autosoddisfazione. L’assenza di sensibilità come rabbia riversata sull’altro per la condizione in cui ci troviamo noi, come odio verso il diverso, come rifiuto di sguardi e di parole, come indifferenza verso chi soffre, come selettività di battaglie da abbracciare, come mancanza di visione globale.
Mi guardo intorno e non posso pensare che tutto questo debba rimanere incontrollato. Non posso credere di non avere strumenti per rendere i miei figli persone migliori, giorno dopo giorno, gesto dopo gesto. La sensibilità si educa. La sensibilità si racconta, si evidenzia, si esprime ogni volta che facciamo un intervento educativo. Ogni volta che chiediamo ai nostri bambini di fermarsi un attimo e guardarsi negli occhi per chiedersi come stanno. Ogni volta che fermiamo i loro litigi e chiediamo loro di esprimere i propri sentimenti cercando di pensare a cosa pensa l’altro, inginocchiandoci davanti a loro, guardandoli negli occhi, accogliendo le loro emozioni. La sensibilità si sperimenta ogni giorno, in famiglia, a scuola, fra gli amici. Accorgendoci che l’altro sta soffrendo e che noi possiamo porgere una mano, avere parole di conforto, mandare un messaggio di sollievo. La sensibilità si respira quando veniamo ascoltati e quando ci viene insegnato ad ascoltare, quando veniamo rispettati e ci viene insegnato a rispettare. Con gesti, parole, azioni vere. Allora, se penso a questo, posso continuare a sperare. Sperare che sempre più genitori comprendano il grande compito dell’educare alla sensibilità mostrandola innanzitutto al prossimo più vicino. Sospendendo per un attimo il giudizio e lasciandosi guidare solo dal desiderio umano di portare sollievo e conforto.

Perciò il mio messaggio di oggi, 27 gennaio 2016, giorno della memoria, è “non lasciate che i vostri figli si dimentichino della solidarietà. Non lasciate che siano sopraffatti dalla rabbia senza riuscire a dargli voce. Non permettete che perdano il grande valore umano della sensibilità perché tutti, prima o dopo, avremo bisogno di persone sensibili e solidali accanto a noi. Fate ai vostri figli il dono della sensibilità perché un cuore sensibile non dimentica, perché solo così sarà davvero possibile NON DIMENTICARE!”

giovedì 21 gennaio 2016

Mamma fammi tante coccole!

Se nostro figlio potesse parlare fin dal giorno di vita, e magari anche prima, probabilmente queste sarebbero le parole che pronuncerebbe per prime. Quanto bisogno di coccole c’è in tantissimi bambini! Lo constato ogni giorno. Quel genere di coccole che ti scaldano il cuore, che ti fanno sentire amato, che ti proteggono. Le coccole che ti calmano, quelle che ti fanno guarire quando hai male al pancino, quelle che ti fanno sentire meno freddo nelle buie sere invernali. Le coccole davanti alla tv, le coccole giocose sul tappeto morbido della sala, le coccole energiche di papà, ma anche quelle spinose della sua barba e, ancora, quelle sottovoce della mamma quando ti mette a letto, della nonna che ti canta la canzone della felicità o del nonno che ti porta a passeggio nei prati a vedere i trattori.

I nostri bambini hanno bisogno di tutte queste coccole, in qualunque momento della giornata noi possiamo farle. Hanno bisogno di sentire che noi ci siamo. Queste coccole struttureranno in loro un legame profondo, fisico e psicologico; un sentimento di appartenenza, di protezione, di fiducia. I nostri bambini si sentiranno più sicuri, meno spaventati, più accolti. Il momento delle coccole è un momento tutto per loro, personale, dedicato. Coccole che cambiano, coccole che crescono, piccole attenzioni di presenza. Un bigliettino di buona giornata nel porta merende, una faccina che ride disegnata a matita nella prima pagina bianca del quaderno di italiano, un messaggino divertente sul cellulare, il piatto preferito pronto sul tavolo per cena, una pizza mangiata sul tappeto guardando un film comico. Una coccola per dire “io ci sono, anche se sei cresciuto”. Lasciamo andare i nostri figli nel mondo, permettiamo loro di volare, lasciamo che lascino il nido, lasciamoli conoscere, esplorare, fare da soli, vivere… ma col cuore aperto non dimentichiamoci mai di far loro tante coccole, perché noi ci saremo sempre per loro!

lunedì 18 gennaio 2016

And the winner is...il lupo cattivo!

Risultati immagini per lupo cattivoEcco una domanda che mi turba fin da quando ero piccola: perché gli adulti terrorizzano i bambini con la frase “se fai così viene a prenderti il lupo cattivo”? Non riesco proprio a farmene una ragione! Mi turba il pensiero che molti genitori non riescano a prendersi la responsabilità di stabilire regole precise con i propri figli e che si affidino ad autorità esterne per incutere il terrore nei propri piccoli cosicché questi ultimi si comportino bene. Perché? Forse non c’è una risposta a questa domanda ma sicuramente questi comportamenti mi fanno riflettere e riflettendo sono giunta alla conclusione che, usando questo genere di “messaggi”, alla fine, vince il lupo cattivo. Sono convinta che ogni volta che minacciamo i nostri figli con frasi come “adesso il carabiniere ti porta via…”, “adesso la signora ti sgrida…”, “adesso il dottore ti fa la puntura…”, noi miniamo la nostra stessa autorevolezza, la nostra capacità di educare i nostri figli e la nostra possibilità di ottenere il loro rispetto. Ogni volta che diciamo questo, scendiamo nella scala gerarchica delle figure a cui i nostri figli devono dare attenzione. Ma non solo! Inneschiamo in loro il meccanismo della paura. I nostri bambini avranno paura di figure per le quali dovrebbero provare sentimenti di rispetto e fiducia. Avranno paura dei vigili e dei carabinieri, avranno paura del dottore, avranno paura perfino della cassiera del supermercato e non avranno più fiducia nel prossimo. Costruiremo, giorno dopo giorno, frase dopo frase, mattone dopo mattone, un muro invalicabile fra loro e gli altri. Gli altri positivi. Le figure professionali utili alla comunità. Le figure preposte alla difesa e al rispetto civile, le figure atte a fornire consigli che loro dovranno imparare ad accettare con pensiero critico e costruttivo e non per paura. Ma vi dirò di più! Io mi domando anche “cosa succederà quando i nostri bambini cresceranno e si renderanno conto che in tutti questi anni, nonostante abbiano perseverato nel capriccio, nessun carabiniere li ha mai arrestati e nessun dottore ha mai fatto loro una puntura punitiva?”.

 Lascio a voi immaginare le conseguenze che questo pensiero potrà avere sull’immaginario di un bambino diventato adolescente e mentre tirate le conclusioni di questo mio pensiero rimango con il profondo timore che, se questi strumenti educativi non verranno abbandonati, alla fine dovremo arrenderci e proclamare: the winner is …il lupo cattivo!

venerdì 15 gennaio 2016

La storia di Abele e Abele

“C’erano una volta, tanto tempo fa, due fratellini di nome Abele e Abele. Erano due fratellini nati identici a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. I genitori avevano pensato di chiamarli entrambi Abele. Li avevano cresciuti ed educati nello stesso identico modo. Avevano dato loro le stesse risposte e avevano fatto loro vivere le stesse esperienze. Così i due fratellini crebbero nell’uguaglianza e nell’armonia e non soffrirono mai differenze fra loro. I genitori non dovettero mai mediare i loro conflitti e non dovettero mai adattare i propri comportamenti e le proprie risposte educative in funzione alle differenze dei due piccoli. Così vissero tutti felici e contenti”.
Trovate che ci sia qualcosa di strano in questa storia? Immagino proprio di sì. Immagino che tutti la troverete assolutamente surreale, fantasiosa e anche al limite del ridicolo. Sono pienamente d’accordo con voi! Ecco perché, quando sento molti genitori dire “per noi i nostri figli sono tutti uguali, noi non facciamo differenze tra loro”, penso che si siano certamente confusi perché i figli non sono tutti uguali. Non sono uguali per niente! Mi spiego meglio.
Don Milani diceva che “la giustizia non è far parti uguali fra diseguali ma offrire ad ognuno ciò di cui ha bisogno”. Trovo che sia una verità tanto semplice quanto fondamentale. Pensare di crescere i nostri figli nello stesso modo, pensare che siano uguali, pensare di offrire loro esperienze identiche o di negare loro le stesse cose, credere di poter essere giusti solo nell’uguaglianza, penso che possa essere un grande abbaglio. Sapete già quanto io creda nell’identico valore umano di ognuno di noi, a prescindere da ciò che siamo. Ma penso anche che ognuno di noi sia unico e irripetibile. La delicatezza di questo argomento mi fa dire che ci sono confini sottilissimi fra l’offrire pari opportunità e fare uguaglianza dimenticandosi dell’unicità dei nostri figli. Ogni bambino è portatore di un’identità speciale e specifica, di un’esperienza di vita unica e di un’indole prettamente personale. Possono assomigliarsi, possono ricordarci chi siamo stati o chi siamo, possono avere similitudini fra loro, ma i fratelli non sono mai identici, nemmeno quando sono gemelli. Sicuramente chiunque abbia più di un figlio si rende perfettamente conto che i bambini non sono la copia l’uno dell’altro e che non potranno mai esserlo. Questo è abbastanza evidente. Quello di cui spesso non ci si rende conto però è che nemmeno noi, nel nostro percorso di vita, possiamo essere immutabili. Per ogni figlio viviamo esperienze uniche, adottiamo comportamenti unici, abbiamo sentimenti irripetibili. Le nostre esperienze possono assomigliarsi (e questo ci rassicura) ma non saranno mai identiche. E non saranno mai identiche le risposte che i nostri figli ci daranno. Continueranno a stupirci e noi continueremo a modificarci. Ciò che abbiamo fatto con un figlio non saremo mai in grado di riviverlo ugualmente con un altro. Perciò non facciamoci un cruccio del nostro vivere ogni giorno educativo come unico. Non preoccupiamoci di rispondere nello stesso modo, di fare le medesime scelte, di soffermarci sui dettagli. Osserviamo e comprendiamo ogni figlio per quello che è. Aiutiamolo a capire la propria unicità. Possiamo essere genitori senza pretendere di essere imparziali. Ogni figlio dovrà avere la propria possibilità, chi in un campo chi nell’altro. Dobbiamo imparare a conoscerli nel profondo per capire. Riflettiamoci e facciamo chiarezza prima con noi stessi per poterlo poi rendere comprensibile a loro. Possiamo dare a ognuno la possibilità di librarsi ma attraverso strumenti e strade differenti, ognuno con le proprie ali.
Ogni giorno cerco di ricordarmi che io sono una mamma diversa dalla mamma che ero otto anni fa per effetto delle esperienze che ho vissuto, delle scelte che ho fatto. Anche per questo la mia relazione con il mio piccolo non sarà mai la stessa che ho avuto con la mia grande. E’ inevitabile. Ma se cerchiamo di leggere nei cuori e negli occhi dei nostri bambini, sicuramente troveremo il modo di essere genitori giusti per ognuno di loro affinché un giorno abbiano consapevolezza di non aver avuto parti uguali fra diseguali….

martedì 12 gennaio 2016

Ridere è una cosa seria...


Risultati immagini per bambini che ridonoQuante volte avete pensato che la gente dovrebbe ridere, o perlomeno sorridere, di più? Io lo penso quotidianamente. Chi mi conosce bene sa che amo moltissimo fare dell’ironia e ridere. Mi piace entrare a scuola col sorriso alla mattina, mi piace fare battute ai miei ragazzi quando parliamo, mi piace scherzare coi colleghi e le colleghe e mi piace soprattutto vedere ridere la mia famiglia. Questo non significa che io non sappia essere una persona seria, orientata agli obiettivi, concentrata. E anche questo, chi mi conosce, lo sa. E non significa nemmeno che io non sia mai triste. Lo sono eccome! A chi non capita di avere momenti di sconforto, di stanchezza o di stress? A tutti. Quello che voglio dire è che troppo spesso le persone non ridono. E’ sempre e tutto una questione di serietà. Essere seri non è essere tristi. Vorrei tanto che le persone imparassero a ridere di più. A fare della gioia uno stile di vita. Una volta una signora del personale ATA, che ho salutato con un luminoso GOOD MORNING in un piovoso lunedì mattina di novembre, mi ha detto “ma che bello che sorridi sempre!”. Mi ha fatto davvero piacere questa sua osservazione. Mi piacciono le persone solari, positive, cordiali e con cui si può interloquire con piacere.
Allora rifletto su questo e penso che mi piacerebbe che un giorno i miei figli fossero così. Mi piacerebbe che imparassero a sorridere, a sdrammatizzare, a cogliere il bello della vita. Mi piacerebbe che imparassero a piangere ma anche ad asciugarsi le lacrime e ad alzarsi il mattino seguente con il sole e una buona idea in testa. Nella descrizione del mio profilo ho scritto che amo le domeniche di primavera. Le amo perché sono cosi: tiepide e luminose come l’abbraccio di chi ti ama. Amo ridere dei neologismi strambi del mio bambino di tre anni. Amo ridere degli strafalcioni grammaticali di mia figlia. Amo ridere delle scenette buffe di mio marito. E amo che loro stessi ridano di me e di quello che combino. La mia famiglia è così. Noi ridiamo. Se qualcuno è triste lo facciamo ridere. Se qualcuno non riesce ad addormentarsi la sera perché ha paura, noi raccontiamo un aneddoto simpatico e positivo per portare via i brutti pensieri. Se qualcuno piange per la stanchezza, noi lo abbracciamo e lo consoliamo e poi gli facciamo il solletico. Perché ridere nella vita aiuta a vedere tutto sotto una luce nuova. Aiuta a combattere le paure. Aiuta a sentirsi meno soli.


Quello che mi piacerebbe consigliarvi oggi allora è: educate i vostri figli al sorriso con il vostro sorriso! A tutti capita di arrabbiarsi, incupirsi, intristirsi ma poi dobbiamo trovare la via per riaffiorare in superficie e sorridere. Lasciatevi aiutare dal sorriso dei vostri bambini. Lasciatevi contagiare dal loro divertimento. Gioite della gioia. Ridete dei sorrisi. Illuminatevi. Imparare a ridere è una cosa seria! Come dico sempre ai miei ragazzi in classe “su, ridi, che la vita ti sorride”.

domenica 10 gennaio 2016

Peter Pan non è mio padre!

Risultati immagini per peter panIn questa domenica pomeriggio un pò uggiosa, passata per la maggior parte del tempo a stirare, arriva finalmente il momento in cui posso sedermi davanti al mio pc e lasciar scorrere liberamente i miei pensieri riflettendo sul difficile lavoro dell’educare. Mi torna subito alla memoria  un divertente aneddoto accaduto in una delle mattine passate a scuola insieme a F. 
Stavamo parlando di una ragazzina che a lui piace molto e mi stava raccontando tutte le sue fatiche di preadolescente alle prese con i primi amori. Parlava e raccontava e poi ascoltava incuriosito e anche un po’ divertito le mie parole. Sorridendo lo guardo e dico “dai retta a me che sono vecchia”. Lui si mette a ridere e mi dice “ma no, non sei vecchia, hai solo il pentagramma sulla fronte”. Così insieme scoppiamo in una sonora risata coinvolgendo una mia collega che ci guarda e si rivolge a F. dicendogli “è bello avere un’amica con cui parlare vero?”. Lui si fa serio e risponde “ma lei non è la mia amica, non mi racconta i suoi segreti e non piange. Lei è un’adulta! Però mi piace parlare con lei perché mi ascolta e mi consiglia”. L’ho guardato e fiera di lui ho pensato “Quanta saggezza in queste parole”.
Perché vi ho raccontato questo aneddoto? Perché oggi vorrei sfatare il secondo mito legato al dialogo coi figli: dialogare coi figli non significa essere i loro migliori amici. Ecco, l’ho detto! E non odiatemi per averlo detto! Sono estremamente convinta che questo sia un altro dei miti moderni della relazione genitori-figli. Sembra che in molti credano che dialogare coi figli è possibile solo se ci si comporta come loro, solo se si usa lo stesso linguaggio, solo se si fanno le medesime esperienze. Dialogare non è necessariamente questo. In verità può esistere e deve esistere un tipo di dialogo intergenerazionale sano e costruttivo. Un dialogo che con il tempo cresce, muta, si modifica. Dialogare con un figlio piccolo non è come dialogare con un figlio adolescente, dialogare con una figlia non è come dialogare con un figlio, dialogare a trent’anni non è come dialogare a cinquanta. Ma una cosa non cambia. Noi siamo i genitori e loro sono i figli. E non intendo dire che questa sia una scala gerarchica dove qualcuno è più importante di qualcun altro. Il valore umano di ognuno di noi è identico, sia che si abbiano due anni sia che se ne abbiano trenta, sia che siamo maschi sia che siamo femmine e via di seguito per tutte le variabili possibili. Sono le esperienze umane ad essere diverse. La strada percorsa, la vita trascorsa, gli apprendimenti fatti. Essere genitore è mettere a disposizione dei  propri figli tutto questo bagaglio di esperienze. E’ introdurre cambiamenti attraverso la condivisione. E quale miglior strumento se non il dialogo? Ma le parole che si usano, le frasi che si dicono, hanno un’importanza fondamentale. Nelle nostre parole c’è esperienza che si trasmette e che si fissa nella mente dei nostri figli. Nel dialogo quotidiano c’è vita che passa di padre in figlio. Ma la relazione che instauriamo con loro rimarrà necessariamente asimmetrica. Il nostro ruolo di guida, di aiuto, di ascolto, di contenimento, di accoglienza, di educazione, sarà sempre un ruolo da educatore ad educando fino a quando i nostri figli  non saranno in grado di andare nel mondo da soli. E in tutto questo tempo, in questa relazione, sarà importante ricordare sempre che la fiducia si costruisce dando fiducia, che l’ascolto si educa dando ascolto. Ma noi rimarremo sempre i genitori dei nostri figli. Io rimarrò la donna che è investita della responsabilità di guidarli e sostenerli e non quella che deve essere sostenuta da loro. Nella relazione fra migliori amici l’uno sostiene l’altro in modo biunivoco perché entrambi si è in grado di sostenere la sofferenza dell’altro, la gioia dell’altro, l’apatia dell’altro a ritmi alterni. Nella relazione genitori-figli, un figlio che sta crescendo non ha le strutture emotive adeguate per accogliere i nostri “segreti”. Certamente un figlio può comprendere che siamo umani, che abbiamo debolezze e fatiche, che commettiamo errori. Questo può comprenderlo. E non solo! Abbiamo il dovere di spiegarglielo perché prima o poi commetteremo errori e lui se ne accorgerà e se ci avrà mitizzati allora perderà la fiducia. Ma in quanto figlio (soprattutto se piccolo) non può e non deve sostenerci nei nostri momenti di crisi, non può e non deve farsi carico delle nostre paure terrorizzanti, non può e non deve asciugare le nostre lacrime di dolore. Questo ruolo spetta a qualcun altro e soprattutto spetta a noi nei suoi confronti.

Poi, un giorno, quando avremo insegnato loro a essere uomini e donne completi, emotivamente stabili, capaci di accogliere l’altro, ci accorgeremo che saranno in grado di fare tutto questo coi loro stessi figli e forse, allora, anche con i loro anziani genitori. Ma fino ad allora facciamoci carico delle nostre responsabilità e smettiamola di fare gli eterni Peter Pan emotivi.

mercoledì 6 gennaio 2016

Il Dialogo con i figli: tra miti e realtà

Vorrei sfatare il primo mito legato al tema del dialogo coi figli:  il dialogo con i figli non è un caso fortunatoQuando qualcuno vi dice che siete fortunati perché voi riuscite a parlare con i vostri figli di moltissimi argomenti, voi non credeteci. Non siete stati fortunati. Siete stati semplicemente bravi. Avete percorso strade tortuose con coraggio e abilità e siete arrivati proprio lì, alla capacità di dialogare. Educare i propri figli al dialogo è una costruzione continua e costante. E’ prendersi del tempo per ascoltarli, per chiedere come va, per parlare con loro. Costruire il dialogo significa dare esempio di dialogo, fin dai primi momenti di vita. Ascoltare il proprio figlio, riconoscere i suoi vagiti, riconoscere i suoi modi di comunicare e accoglierli. E’ rispondere ai suoi bisogni. E’ rispondere alle sue richieste. Quando ci arrabbiamo per niente, perché siamo stanchi e stressati, è ammettere  il proprio errore e insegnare che si può sbagliare, che si può chiedere scusa e poi migliorarsi. E’ insegnare a non perpetrare l’errore.
Spesso mi ritrovo a pensare alle mie azioni educative quotidiane e a chiedermi come posso fare per mantenere sempre vivo il dialogo coi miei figli. Allora percorro il cammino del dialogo ogni giorno, nei piccoli gesti, quando mi accovaccio davanti al mio bambino di tre anni e gli chiedo di guardarmi negli occhi, di concentrare la sua energia e la sua attenzione su di me. Quando gli pongo delle domande e mi aspetto che lui mi risponda. Quando uso le modulazioni della mia voce per attirare la sua attenzione. Quando lo abbraccio con la mia voce, quando dò voce alle sue paure e alle sue angosce e rispondo ai suoi stati d’animo. Dialogo con lui attraverso i gesti del mio corpo. Attraverso la mia postura, le espressioni del mio viso, il mio sguardo. Dialogo con mia figlia quando torna arrabbiata da scuola perché qualcuno le ha fatto un torto e le chiedo di riflettere su quel torto. Su quel che ha portato a quell’incomprensione. Insegno a mia figlia a dialogare quando le chiedo di guardare dentro di sé. Quando le chiedo di ripercorrere le proprie parole e i propri gesti e di cercare cosa è andato storto. Dialogo con lei quando dopo un rimprovero importante lascio che lei pensi e al momento opportuno (a cena, durante la doccia, al momento del bacio della buona notte) mi siedo accanto a lei e le chiedo di parlare di ciò che è successo, le chiedo di riflettere INSIEME A ME.

Il dialogo non piove dal cielo. Il dialogo non inizia perché mio figlio adolescente è in crisi e allora deve parlare con me adesso. Il dialogo è dentro ogni piccolo gesto, di ogni piccolo giorno passato con i nostri figli. Il dialogo è uno strumento, è un mezzo ed è anche un fine. E’ uno dei grandi obiettivi trasversali dell’educazione insieme all’autonomia. Non aspettatevi che sia una strada facile. Ormai dovreste aver capito tutti che educare non è mai facile. Ci saranno cadute, errori, disfatte. Ma non perdete mai di vista il vostro grande obiettivo. Non vergognatevi di ammettere i vostri errori. Non forzate mai la mano, perché i vostri figli lo sapranno. Siate veri, onesti con voi stessi, sinceri. Cominciate da voi. Sarà il primo passo per arrivare a loro. So che non è semplice guardarsi allo specchio, sapersi osservare, capire cosa c’è che non va e correggere il tiro. Forse avrete bisogno di un osservatore esterno, di uno sguardo professionale o forse basterà il confronto con il vostro partner o con una vostra amica. Avrete dubbi, avrete incertezze ma non smettete mai di provare, di farvi domande, di aprirvi alle possibilità. E mentre riflettete su questi nuovi consigli io lascio che i miei pensieri corrano sul tema del dialogo che ancora tanto ha da dire su di sé….buona epifania wondermamme.

domenica 3 gennaio 2016

La Motivazione: il motore delle nostre azioni - part two

Risultati immagini per motivazione
Riflettevo sul fatto che decine di volte mi sono ritrovata a ripetere le stesse frasi a mia figlia (tendenzialmente ad impartire degli ordini) senza ottenere particolari fruttuosi risultati. E riflettevo che la mia peggior nemica, quando si parla di educare i miei figli, è la fretta. La maledetta fretta che non ci permette di fermarci un attimo a pensare a quale prezioso strumento abbiamo a disposizione: il dialogo. Per il dialogo serve fermarsi. Serve pazienza. Serve pensiero. Per dialogare e trattare argomenti speciali con i nostri figli serve il tempo. Ma la vita frenetica ci travolge e il tempo ce lo toglie. Quale preziosissimo bene ci facciamo portare via ogni giorno. Ogni pensiero pedagogico fonda il proprio esistere proprio sul tempo. Stendere un progetto educativo richiede innanzitutto l’osservazione. A noi educatori è richiesto di osservare. Serve tempo per osservare i comportamenti e gli atteggiamenti dei nostri ragazzi. Le loro abitudini. Ciò che a loro piace o non piace. Serve osservare i loro punti di forza e i punti di debolezza e usare i primi per lavorare sui secondi. Se un ragazzo ha problemi di tenuta e non riesce mai a portare a termine un compito ma ama tantissimo le scienze, allora si imposteranno compiti proprio a tema scientifico perché agganciarlo a ciò che a lui piace può portarlo a migliorare i tempi di tenuta. Ma è un lavoro lungo, è un progetto a medio –lungo termine i cui frutti si raccoglieranno solo con il tempo. La stessa cosa vale per i nostri figli. Diamoci un progetto. Osserviamoli. Cerchiamo di capire quali sono le loro debolezze (facile, basta pensare a quali sono le frasi che ripetiamo più spesso) e allo stesso tempo cerchiamo i loro punti di forza. Usiamoli per dare loro una motivazione. Diamo loro degli obiettivi raggiungibili nel breve tempo ma migliorabili. Aumentiamo le richieste gradualmente ma teniamo sempre presente che senza motivazione difficilmente i nostri figli (soprattutto se grandi) porteranno a termine il compito. Ma soprattutto non dimentichiamoci di dialogare con loro. Di ascoltarli. Di osservarli. Perché da educatore so che il vero apprendimento non è solo l’interiorizzazione di una procedura meccanica ma è la comprensione dell’importanza della stessa, del suo valore, della sua utilità. Quando un ragazzo apprende una procedura non ha raggiunto un obiettivo di apprendimento ma un meccanicismo. Quando un ragazzo non solo ha appreso una procedura (come può essere la difficile abitudine quotidiana di riordinare la scrivania) ma ne ha compreso il vero significato e la vera utilità, allora il grande passo sarà compiuto. Ecco che la motivazione che muoverà le loro azioni non sarà più esterna (lo faccio altrimenti la mamma rompe-misgrida-mi toglie l’ipad) ma sarà una vera motivazione interna (lo faccio perché in effetti non è così faticoso – perché in effetti trovo tutte le mie cose e non le dimentico e le porto a scuola – lo faccio perché quando studio mi concentro meglio…) e l’apprendimento sarà reale, sarà duraturo.  Ma armatevi di tanta pazienza perché i frutti di questo albero non maturano in una sola stagione. Abbiate fiducia però, perché li coglierete e saranno i migliori che avrete mai raccolto. E nel frattempo investite il vostro tempo e le vostre energie nel dialogo, fondamento dell’educazione. Si questo vi parler nel prossimo post...a presto wondermamme e Buon anno a tutte!!