Questo blog è scritto a quattro mani. Quando leggerete troverete l'essenza di noi. Leggerete la nostra esperienza di vita, come mamme e come educatrici. Questo blog è la nostra visione pedagogica. Questo blog siamo noi! Il nostro motto è: L'ESPERIENZA DEGLI EDUCATORI AL SERVIZIO DEI GENITORI! Aiutateci a rendere speciale questo blog con le vostre condivisioni e i vostri commenti...

sabato 14 ottobre 2017

Come quadri di Monet

Esistono trucchi e leggi della fisica che regolino anche gli interventi educativi? Esistono manuali per affrontare la genitorialità? In tanti se lo chiedono. In tanti vanno alla ricerca di risposte certe e metodi standard da applicare per “non sbagliare” e essere bravi genitori.
Ma devo darvi una cattiva notizia: il manuale non esiste. Non esiste nessun educatore o pedagogista in grado di darvi un elenco puntato di azioni da svolgere per ogni situazione senza conoscere voi e soprattutto senza conoscere i vostri bambini. Tutti noi siamo come quadri di Monet. Siamo composti da migliaia di pennellate singole che creano nel complesso un meraviglioso capolavoro. Un capolavoro unico. Nessuno di noi è la copia di qualcun altro. Nessuno di noi può essere riprodotto in serie. Siamo fatti di esperienze, bagagli genetici, attività fisiologiche e corporee, emozioni. Agiamo nel e rispondiamo all’ambiente in cui viviamo. Ecco perché un manuale non può esistere. Ecco perché non esiste un’azione per ogni situazione.
Esistono però buone prassi educative. Esistono però consigli generali che un educatore può dare e che possono diventare spunti di riflessione che ogni famiglia può cogliere per inserire nel proprio agire quotidiano alcuni cambiamenti che permettano di migliorare le personalità in crescita dei propri figli.
Uno di questi consigli, che oggi vorrei darvi, riguarda proprio la visione globale della crescita dei nostri bambini. I nostri cuccioli non sono singole pennellate ma un capolavoro complesso, fatto però proprio da questo insieme di tratti. Crescere un figlio in equilibrio significa sapere quali sono i tratti di una persona che vanno coltivati. Questi aspetti, secondo me, sono fondamentalmente 4 e sono nel seguente ordine di importanza:
1.       Prendersi cura del loro corpo e insegnare loro a farlo: mantenerli in uno stato di salute attraverso una sana alimentazione, attraverso il movimento, il giusto ritmo di attività-riposo, la pulizia e l’igiene personale. Un corpo sano ed equilibrato permettere il corretto svolgimento delle funzioni corporee e di conseguenza cognitive e di apprendimento.
2.       (in parallelo) Prendersi cura delle loro menti e insegnare loro a farlo: dedicarsi allo sviluppo del loro pensiero, fare loro domande sulle cose e rispondere alle loro stesse domande, aiutarli a scegliere attività che li rilassino e aiutino lo scorrere dei pensieri, leggere con e per loro, interessarsi con loro alle cose, interessarli alle cose. Una mente sana e in equilibrio è portatrice di salute.
3.       Insegnare loro a prendersi cura degli altri con gesti volontari di aiuto. Sottolineare e riconoscere i loro gesti di aiuto spontanei come fondamentali e importanti.
4.       Insegnare loro a prendersi cura delle proprie cose: insegnare loro a usare con cura le cose, che c’è un posto per ogni cosa e che ogni cosa va al proprio posto, che è importante tenere pulito il luogo in cui si vive e si lavora, e che le proprie cose hanno un valore.

Perché questi quattro punti in questo ordine? Perché un corpo sano aiuta la salute mentale e viceversa. Perché l’equilibrio dei primi due permette di orientarsi verso l’altro. Perché lo sviluppo del sano senso estetico e del “bello”, ultimo ma non meno importante, riporta alla cura di sé e dell’altro da sé. Un piccolo inizio, tutto da approfondire, che ci permetterà di metterci in discussione e mettere in discussione le nostri azioni educative quotidiane.  

martedì 5 settembre 2017

Il ciclone

Eccoci. Prima o poi doveva succedere. Il ciclone si è abbattuto sulla mia casa. Era inevitabile e lo stavamo aspettando. Speravamo che ritardasse rispetto alle previsioni ma purtroppo è arrivato portato dai venti caldi dell’estate. L’aspetto del ciclone è all’incirca questo:
  • Si manifesta intorno ai 10 anni.
  • Si abbatte con forza e travolge tutto quello che incontra.
  • È carico di energia indomabile e potenzialmente distruttiva.
  • È difficile da incanalare e governare.
  • Passa da stati di quiete quasi catatonica a momenti di tempesta rabbiosa.
  • E’ a tratti, piuttosto frequenti, insopportabile.

Il ciclone ha anche aspetti remoti e poco visibili a causa della sua apparenza terrificante. I lati oscuri del ciclone sono i seguenti:
  • Instabilità interna.
  • Fragilità.
  • Umidità da condotti lacrimali.
  • Bisogno estremo di anticicloni.

Chiunque abbia, come me, figli intorno ai dieci anni ha perfettamente capito di cosa sto parlando. E’ il ciclone PREADOLESCENZA. Prima o poi arriva per tutti. Prima o poi dobbiamo farci i conti come genitori così come abbiamo dovuto farci i conti durante la nostra crescita. Ma quando tocca ai nostri figli, beh, è tutta un’altra storia. I nostri meravigliosi cuccioli profumati da angelo e accoccolati sulla nostra pancia si trasformano in demoni dalle unghie affilate e i canini insanguinati. Ce l’hanno con il mondo. Ma soprattutto ce l’hanno con noi. Sono bravissimi a riconoscere i nostri passi falsi (perché ne facciamo, eccome). Sono martellanti e terribilmente insopportabili. Vogliono fare cose ma non le vogliono fare. Sono euforici e sono tristi. E poi, all’improvviso, piangono e si chiudono in un silenzio assordante. Lo fanno proprio mentre tu sei così arrabbiato per l’ultima loro performance che gli strapperesti un dito a morsi. Ma come fai? Li trovi lì, nella loro stanza, cuffie alle orecchie e occhi da cane bastonato. I preadolescenti sono questo. Un tumulto di emozioni in una personalità in crescita. Vogliono spiccare il volo ma alle ali hanno quattro piume striminzite e spesso hanno più paura che coraggio. Vogliono dire la loro ma molte volte i pensieri gli si confondono nella testa e dicono cose incomprensibili. Andrebbero a vivere da soli ma appena te ne esci dalla porta si sentono terribilmente soli. Vogliono che tu te ne vada ma hanno l’estremo bisogno di essere accolti, ascoltati, compresi e perfino coccolati (se non in senso stretto, almeno metaforico). E tu sei lì, in mezzo a questo turbinio, che cerchi di fare mente locale ricordando quello che provavi alla loro età e speri di cavartela facendo il minor numero possibile di danni. Cerchi strategie, pensi, provi strade e soluzioni. Ti arrabbi, li metti in punizione, li rimproveri aspramente e poi, una volta calmate le acque, provi a sederti con loro e a intavolare un confronto pacato. Li porti a mangiare un gelato o a vedere un bel film. Fai il genitore nel miglior modo possibile, senza dimenticarti che come genitore hai il compito di guidarli ricordandoti che in primo luogo devi guidare te stesso. La personalità del nostro piccolo demone sta cambiando, sta crescendo e quasi stentiamo a riconoscerlo. Ha bisogno di noi. Ha bisogno di sapere che un giorno quelle quattro piume diventeranno un piumaggio voluminoso e sicuro, che potrà volare, esplorare e tornare al nido da noi. Ma per ora tocca a noi. Ci tocca affrontare questo ciclone stando al loro fianco. Ci tocca cercare nuove strategie per affrontare questa nuova sfida e uscirne insieme da vincitori. Cosa possiamo fare se non trasformarci in pale eoliche e approfittare di questi venti ciclonici per produrre energia utile? Avanti tutta allora e affrontiamo questo ciclone!

martedì 21 marzo 2017

Ce la faremo?

Me lo chiedono a gran voce, loro: il mio ferro da stiro, la mia lavatrice, la mia lavastoviglie, il mio robot che aspira ininterrottamente tutti i santi giorni della settimana puntuale come un orologio Svizzero, sette giorni su sette! Li sento che si lamentano “Basta! Basta!”. E perché? Vogliamo forse non dar voce al mio pc e al mio tablet che fanno da sempre le ore piccole? Possiamo non ascoltare i loro lamenti? “E che diamine! In questa casa non c’è più criterio!”.
I miei vicini hanno affermato tempo fa che i miei elettrodomestici esultano dalla gioia quando vado in vacanza! E hanno ragione.
Oh, quasi dimenticavo! Come posso averlo scordato? Non sono assolutamente democratica. Di tutti i collaboratori involontari e assolutamente preziosi che sostengono la mia esistenza, ho trascurato proprio lui: il mio cellulare!
Oggetto moderno più che mai indispensabile, irrinunciabile, presenza fissa della mia esistenza, presente e futura. Lui c’è! E’ proprio così, c’è sempre. Ci penso e non riesco a capacitarmi di come un oggetto così piccolo possa contenere contemporaneamente desideri, gioie, tristezze, paure. Eppure doveva servire solo a comunicare con maggior facilità, doveva al limite supportarci nelle attività lavorative, organizzative, pragmatiche.
E invece?
Invece si è trasformato nel custode della nostra anima, dei nostri ricordi, dei nostri affetti e della nostra socialità. Allora forse sarà per questo che non riusciamo, ma proprio non ce la facciamo a separarci da lui? A spegnerlo? A lasciarlo a casa? Per questo non riusciamo a silenziarlo quando siamo a casa o durante una serata fuori? Per questo ci risulta più facile silenziare chi ci sta vicino anziché il nostro cellulare?
Me lo chiedo davvero, una domanda profonda: perché la sera, dopo che la giornata di lavoro è finita, noi non riusciamo a spegnere il telefono?
Troppo alta la richiesta? Abbassiamo! Per l’ora di cena? Abbassiamo! Per 30 minuti? Abbassiamo di nuovo.  Per il tempo necessario a parlare con i nostri figli rientrati una volta riuniti a casa? Abbassiamo definitivamente. Per l’attimo sufficiente a guardarli negli occhi i nostri figli e dire loro “Ciao, hai passato una buona giornata?”
E’ ancora troppo il tempo di GUARDARE NEGLI OCCHI? E se abbassassimo ancora la richiesta? Che cosa ci resta? Forse la fotografia del nostro sguardo da inviare loro tramite whatsapp.
Sono cinica, lo so. Drammatica e antiquata, anche. Ma, vedete, incontro tanti genitori, tanti insegnati, tanti istruttori, educatori con la E maiuscola e tra loro molte, moltissime persone semplicemente rassegnate che utilizzano frasi come “ai nostri tempi non era così, non c’era la tecnologia, e bla bla bla”. Ascolto e penso “Davvero è colpa della tecnologia?”. Forse. O forse dovremmo semplicemente fermarci (cosa assolutamente fuori tempo visto il mantra che ci vuole tutti sul pezzo, tutti collegati, tutti efficienti e impattanti). Ma se ci riuscissimo? Se riuscissimo in questo “miracolo” di fermarci potremmo riflettere su quali bisogni nasconde la dipendenza da cellulare. Potremmo avanzare anche ipotesi e possibili soluzioni di liberazione. E sapete perché mi faccio questa domanda? Per il semplice fatto che NOI ADULTI chiediamo, anzi intimiamo ai nostri figli, generazioni nate CON queste tecnologie, di smettere, di lasciare quei benedetti” telefonini, di ascoltarci. Ma noi siamo i primi a non riuscire a smettere. E allora che educatori siamo? Cosa chiediamo loro e cosa mostriamo loro? Ma certo, diranno in molti, per noi è diverso, noi lavoriamo. E già, altra questione pregnante: se è lavoro, allora tutto, ma proprio tutto, passa in seconda piano? E in questo caso cosa stiamo dicendo loro? Ciò che diciamo con le nostre azioni ha un peso enorme rispetto a ciò che diciamo con le parole. Una lotta impari: azioni vs parole. E continuiamo senza nemmeno accorgercene. Chiediamo ai nostri figli di ascoltare mentre non li ascoltiamo, di guardarci mentre non li guardiamo, di smettere mentre non smettiamo. Chiediamo loro di esserci mentre loro vedono un genitore assente, sempre di corsa, che cerca di districarsi fra mille impegni incastrati in agende che, proprio non capisco come mai, sono sempre così piccole…
Cosa ci resta allora se non lanciare una sfida nuova. Una sfida che può essere abbraccia da chiunque di noi abbia pensato, almeno una volta nella propria di vita di genitore, che qualcosa non va.
Ecco la nostra sfida:

  1. Scegliete un tempo da condividere coi vostri figli
  2. Togliete tutti i tipi di suoneria e vibrazioni dal telefono
  3. Scrivete sui vari social “chiedo perdono al mondo ma dovrà sopravvivere senza di me, io sono impegnato con la mia famiglia”
  4. Dedicatevi ad attività di condivisione gradevoli e rassicuranti coi vostri figli


Buon esperimento a tutti e.... fateci sapere come è andata!

mercoledì 8 marzo 2017

Essere donne...secondo me

Questa mattina mi sono svegliata. Una mattina come un’altra. Sempre troppo tardi, sempre troppe cose da fare, sempre di corsa. Alzati, cambiati, sveglia i bambini con dolcezza, aiuta il piccolo a vestirsi, fai la colazione, controlla che tutto sia apposto per il pranzo della grande e via, si esce. Accendo il cellulare. Plin Plin. Diversi messaggi, come sempre. Sbircio veloce. “A te che sei una donna….”, “A te, bimba, ragazza…” “Auguri a tutte!” e poi fiori, fiori, fiori….tantissimi fiori.
Attimo di smarrimento. Ma certo! E’ la festa della donna. Me l’ero scordata. Non di essere una donna, chiaro, ma dell’8 marzo. Perché me n’ero scordata? Forse non ha importanza nel mio immaginario questa festa? Forse penso, come molte persone, che la nostra festa debba essere ogni giorno? O forse penso che per noi donne non sia mai una festa? Non lo so. Fatto sta che me n’ero scordata.
Eppure il mio essere donna per me ha un valore enorme. Oltre ogni immaginazione. Qualcuno arriva perfino a dire che sono una femminista. Dicono di me molte cose. Dicono che sono troppo bacchettona, troppo pretenziosa, troppo convinta. Di cosa non lo so, ma a quanto pare sono troppo convinta. Allora mi sono messa a pensare e ho pensato seriamente a quali siano le mie convinzioni e così ho deciso di raccontarvele.
Ecco alcune cose, fra tante, di cui sono convinta. Sono convinta che ogni essere umano debba nascere libero, libero di autodeterminarsi e di scegliere per sé. Sono però anche convinta che siamo tutti molto lontani da questa bellissima immagine di autodeterminazione.  Sono convinta che in ogni famiglia debba esistere la condivisione e la collaborazione. E anche per questo sono convinta che sia ancora oggi un miraggio. Sono convinta che le donne possano fare grandi cose, se educate alla scoperta di sé. Sono altrettanto convinta che dovranno perennemente convivere per questo con il giudizio colpevole di una società che le vuole sempre un passo indietro a occuparsi dei lavori di cura. Sono convinta che le figlie di oggi possano essere i leader di domani. Allo stesso tempo sono convinta che qualcuno continuerà a non sentirsi all’altezza e qualcun altro continuerà a tentare di impedirglielo. Sono convinta che nessuno dovrebbe essere vittima di violenza, fisica o verbale, ma sono anche convinta che le donne continueranno a subire più degli uomini e in modo più subdolo. Sono convinta che gli stereotipi di genere, quelli striscianti e non espliciti, possano essere scovati e abbattuti; eppure sono convinta che ci siano ancora troppe donne che perpetrano gli stessi stereotipi nell’educazione dei figli. Sono convinta! Sì, e nonostante questo continuo a sperare.
Spero che negli anni continuino a definirmi troppo femminista se questo significa che racconterò ai miei figli e ai miei studenti una storia diversa, se continuerò a raccontare loro la storia di donne che hanno fatto la storia con la loro autodeterminazione, con i loro sacrifici, con i loro sensi di colpa, con la lotta alla discriminazione e al pregiudizio, nonostante le ingiustizie subite. Continuerò a essere convinta e a raccontare la storia di donne come Margherita HacK, Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Maria Montessori, Samanta Cristoforetti, Simone Weil,Marva Collins, Evita Peron, Kathrine Switzer, Maud Wagner, Komaki Kimura e molte molte altre.
La mia festa della donna vuole essere questa. La festa delle conquiste e delle vittorie. La festa di un domani possibile.

Sognate in grande e sarete grandi!!!

lunedì 6 febbraio 2017

Un NORMALE 7 Febbraio

E allora? E' normale... 
Cosa?
E’ normale pensare di essere unici e per questo avere a disposizione tutto?
E’ normale avere risposte per ogni desiderio e soddisfazione per ogni bisogno non ben definito?
E’ normale trasformare ogni cosa e persona in un bene a proprio uso e consumo?
E’ normale essere impermeabili al punto di assistere a qualsivoglia violenza, di filmarla e quasi in contemporanea di girarla sui social riuscendo a gioire per essere stati i primi a pubblicarla?
E’ normale mangiare, cibarsi, nutrirsi mentre si osservano massacri, uccisioni di ogni sorta?
E’ normale osservare adulti che tra loro si insultano, si umiliano, si disprezzano per ottenere audience e attenzione mediatica?
E’ normale avere la fortuna del diritto alla scuola e lì, proprio lì, subire ogni sorta di angheria da parte di compagni?
E’ un normale luogo di Cultura, quello?
E' normale sentirsi soli e inascoltati?
E' normale non sapere cosa significa PARLARE?
PARLARE: articolare suoni che abbiano un senso.
MA parlare in questo caso forse significa: articolare suoni perché vengano accolti, rielaborati, trasformati e utilizzati per trovare spiegazioni, soluzioni, rassicurazioni.
Allora è normale DIALOGARE?
E con chi? Con gli adulti che oggi hanno così paura di ascoltare? Con chi spesso non vuole vedere, non vuole sentire, perché forse, nello specchio di questa società evoluta ci vede il NORMALE riflesso di sé? Dei propri errori e delle proprie omissioni? Perché vede e teme di riconoscere un nuovo genere evoluto della propria specie? 
Né alto né basso, maschio o femmina, un po’ giovane e un po’ vecchio, con i capelli lunghi ma anche corti, gli occhi non saprei, possono essere di molti colori, né magro né grasso, ma una certezza: bipede e Homo Sapiens Sapiens. 
Sembra abbia un cervello molto evoluto, sembra abbia la necessità di organizzarsi socialmente, sembra abbia la necessità di comprendere il mondo, sembra desideri DOMINARLO. 
E' normale...Si è evoluto, l’essere umano.
Sembra che un tempo fosse dotato di diverse “capacità” sensoriali: vista, udito, gusto, olfatto, tatto, termopercezione e sembra che le utilizzasse per interagire con gli altri abitanti del suo pianeta: la Terra. 
Sembra che un tempo potesse vivere diverse emozioni: gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, paura, disgusto. 
Sembra che l’evoluzione della specie lo abbia condotto a un congelamento di sensi ed emozioni a favore di una realtà parallela, al di fuori del proprio corpo, dove l’altro non esiste, dove l’altro non soffre, dove l’altro è fatto solo di pixel che scorrono puntando l’indice.
E allora…cosa è normale in questa nuova società evoluta?
E’ NORMALE COMMETTERE VIOLENZA SUGLI ALTRI?
E’ NORMALE RESTARE AD OSSERVARE MENTRE QUESTO ACCADE?
E’ NORMALE FARE IL TIFO ED INCITARE CHI MATERIALMENTE COMMETTE VIOLENZA?
E’ NORMALE FILMARE E MANDARE SUI SOCIAL?
E’ NORMALE GIOIRE PERCHE’ SI E’ ASSISTITO E PERCHE’ SI PUO’ RACCONTARE?
E’ NORMALE NON CONSIDERARE NESSUNO CAPACE DI ASCOLTARE IL NOSTRO BISOGNO DI AIUTO?
E’ NORMALE CONSIDERARE TUTTO QUESTO NORMALE?






mercoledì 18 gennaio 2017

10000 VISUALIZZAZIONI


Oggi vogliamo solo ringraziare tutti voi per la vostra affezionata presenza. Abbiamo raggiunto e superato lo strepitoso traguardo delle 10.000 visualizzazioni e per questo dobbiamo ringraziare voi!
Il nostro impegno per la diffusione di cultura educativa, per lo stimolo alle riflessioni, per il supporto al difficile compito di educare CONTINUERA'.
Grazie grazie grazie!
Continuate a seguirci e se volete aiutare il nostro progetto CONDIVIDETE i nostri post sulle vostre bacheche e nei gruppi di amici....
A PRESTO per il prossimo post!

domenica 15 gennaio 2017

L'EDUCATORE E'....

Quanto è difficile cambiare! Cambiare nel profondo, cambiare ciò che siamo, cambiare ciò che possiamo essere. E’ difficile e faticoso e lo so perché lo vivo in prima persona. Cambiare le mie abitudini di sempre, cambiare i miei atteggiamenti e le mie risposte, modificare ciò che sono è una delle sfide più difficili e complesse che devo affrontare nella mia crescita personale. Ci sono molte cose che vorrei modificare di me, molte cose che fanno parte della mia persona e del mio modo di essere persona fra le persone. Si dice che basti la volontà per cambiare. Forse è così. Io però credo che non sia così semplice. Cambiare è un processo profondo, intimo, delicato. Cambiare presuppone la capacità di osservarsi, mettersi in discussione, comprendere il proprio modo di funzionare e le proprie origini. Significa indagare la propria infanzia, la propria essenza. Sapere dove si radicano le nostre paure, i nostri conflitti interiori, le nostre abitudini comportamentali e i nostri atteggiamenti. Cambiare significa avviarsi sulla strada della conoscenza. E conoscere se stessi è un’incognita che mette paura perché può portare verso luce ma anche verso l’oscurità e allora non sappiamo mai se vogliamo conoscerci fino in fondo, non sappiamo mai se vogliamo capire e per questo alziamo barriere, difese, muri. Per questo diciamo "Io sono così, prendere o lasciare!". Ma noi, profondamente, sappiamo davvero come è quel COSI'? Sappiamo per primi accettare quel che siamo? Sappiamo affrontare tutto quello che il nostro modo di essere comporta? Conoscersi significa capirsi per migliorarsi, per amarsi, per smussare gli angoli, per cucire le ferite. Ascoltarsi significa entrare nella nostra solitudine, fermarci e vedere oltre. 
Noi educatori ci incamminiamo ogni giorno sulla strada del cambiamento con l’obiettivo di “educere”, tirar fuori dall’altro ciò che di meglio può essere. Partiamo, inciampiamo, a volte vinciamo e altre veniamo sconfitti. Molti di noi si lanciano a testa bassa, perseverano, non si fermano. Altri gettano la spugna, si arrendono in fretta, riversano colpe sugli altri ma pochi, pochissimi, fanno il viaggio inverso. Pochi si fermano e si ascoltano. Pochi leggono dentro di sé, leggono sé per comprendersi prima di comprendere, per cambiarsi prima di cambiare, per evolversi prima di evolvere.
“L’educatore è innanzitutto ciò che è, poi ciò che fa e infine ciò che dice”. Questa è la prima cosa che ho imparato nel mio percorso di studi. Ma quanti di noi sanno veramente chi sono? Quanti cercano di scoprirlo? Di scoprire sé stessi attraverso gli occhi degli altri, abbassando le difese, uscendo alla scoperta, sollevando il coperchio del vaso di Pandora per svuotarlo e ricominciare da capo? Quanti affrontano con coraggio questa via? Educatori di professione. Educatori per passione. Educatori per scelta oppure no. Persone chiamate al grande compito di trasmettere se stessi agli altri, alle future generazioni. Insegnanti, maestri, volontari e sopra ogni altro: genitori. Sappiamo affrontare questa sfida? La sfida che sento l’onere di affrontare ogni giorno? La domanda che interrompe il mio sonno, che inquieta i miei pensieri? Sappiamo veramente cercare la risposta al quesito: IO SO CHI SONO?

Personalmente forse una risposta finita non la troverò mai, forse questa domanda continuerà a turbarmi per tanto tempo ancora ma sono certa che in questa mia continua ricerca io potrò trovare la capacità di scoprire e scoprirmi per scoprire l’altro, la capacità di cambiare per cambiare, la capacità di crescere per aiutare a crescere…