Questo blog è scritto a quattro mani. Quando leggerete troverete l'essenza di noi. Leggerete la nostra esperienza di vita, come mamme e come educatrici. Questo blog è la nostra visione pedagogica. Questo blog siamo noi! Il nostro motto è: L'ESPERIENZA DEGLI EDUCATORI AL SERVIZIO DEI GENITORI! Aiutateci a rendere speciale questo blog con le vostre condivisioni e i vostri commenti...

martedì 29 marzo 2016

Il mio nuovo punto di vista

Quando ci incamminiamo lungo una strada e la percorriamo per un po’, a volte capita di voltarsi indietro e di guardare ciò che ci siamo lasciati alle spalle. E’ tutta un’altra cosa vista da qui. La guardiamo ed è diversa. Sembra più corta a volte, e altre volte sembra lunghissima. Ma l’abbiamo percorsa noi, proprio tutta. Se decidi di correre e guardi di fronte a te puoi pensare che sia impossibile farcela. Puoi credere di non averne le forze e le capacità. Ma poi cominci. Cammini. Poi allunghi il passo e fai un pezzetto di corsa. Controlli il cronometro e ti accorgi di aver corso più di quanto ti aspettavi. Allora la volta successiva ci credi. Strizzi l’occhio a te stesso e provi ad aumentare il tempo. Magari c’è qualcuno che fa un pezzetto di strada con te e ti sostiene. Ti incita e fa il tifo per te. E tu pensi solo alla strada. Pensi a quanto è faticoso ma non molli perché sai che alla fine tu ce la puoi fare. La corsa è una grande metafora della vita. Forse un po’ abusata ma meravigliosamente vera. Non va sempre come ti aspetti. A volte la strada ti sembra piacevolmente piana e tu pensi che sarà una passeggiata e invece poi ti accorgi che le tue ginocchia non sono dello stesso parere. A volte ti costringono a rallentare, a camminare oppure a fermarti per recuperare. Ma a casa devi tornare comunque e ci devi tornare con le tue gambe e allora riparti e cerchi le energie per tagliare il tuo traguardo. Il tuo, personale e unico traguardo. Ognuno di noi ne ha uno. La fatica a volte ci acceca. Sentiamo solo pungere i polpacci o martellare le giunture e quando ci concentriamo solo sul dolore ci sembra impossibile farcela. Ma poi ci accorgiamo che al nostro fianco c’è un’anima amica. Una voce che ci incita “Mira la meta” e allora ci ricordiamo il motivo per cui siamo partiti. Ci ricordiamo dove vogliamo arrivare.

E così penso a questa metafora e penso a quanto la accomuni al cammino di vita di un genitore. Questo è per me essere genitore. E’ una strada che ho iniziato a percorrere con paura ed entusiasmo. E’ una strada che un po’ ho imparato a conoscere ma che non smette mai di riservare sorprese. E’ una strada a volte dura e impervia, in cui le giunture mi fanno pensare che non ce la farò, e altre volte è una piacevole discesa in una giornata di sole primaverile. A volte sento di potercela fare da sola, altre volte cerco l’anima amica che mi faccia sentire il suo sostegno, la sua voce, il suo tifo. Ma so per certo che è una strada che voglio percorrere fino in fondo. So che non mollerò e guardo avanti e cerco di immaginare quanti altri panorami mi riserva, quante altre piogge da cui ripararmi (e per questo dovrò portare con me la giusta attrezzatura), quanti passi in solitudine e quanti in compagnia. Provo a immaginare questi momenti con la consapevolezza che poi saranno sempre diversi da quello che credevo. E allora cammino, corro, tengo il tempo, seguo il passo e vado avanti guardandomi indietro ogni tanto per accorgermi di quanta strada ho percorso e di quanto diverso sia oggi il mio nuovo punto di vista….

giovedì 17 marzo 2016

L'istinto estinto

Pensavo ai miei genitori. Pensavo al fatto che non hanno mai letto un trattato di pedagogia. E non hanno nemmeno mai parlato con un esperto. E sicuramente non avevano google per cercare consigli online. Eppure sono stati dei buoni genitori. Se hanno sbagliato? Certo! Molte volte. Ne più ne meno come sbaglio io ogni giorno. Hanno sbagliato come normali esseri umani. Come normali genitori. Hanno sbagliato ma non hanno mai avuto paura di essere genitori. Hanno seguito il loro istinto, quello che ti dice se una cosa è giusta o sbagliata. Quello che ti dice che quella cosa, proprio quella, tu devi insegnarla ai tuoi figli. Devi insegnare loro a capire che è giusta. O che è sbagliata. Hanno seguito il loro istinto e hanno detto no. Hanno detto sì. Hanno detto basta. Non hanno avuto paura. Sono passati attraverso tre adolescenze, una diversa dall’altra. Molte volte non hanno capito. E altre invece sì. Ma hanno lottato. Hanno scelto. Si sono esposti. Ma questo istinto che fine ha fatto? Siamo una società in evoluzione. Siamo esseri in evoluzione. Diventiamo sempre più tecnologici, sempre più avanzati, sempre più high, ma allo stesso tempo sempre più dipendenti. Dipendenti dagli esperti, dai consiglieri, dai consigli, dalle googlate. E diventiamo sempre più diffidenti. Non  ci fidiamo degli insegnanti, non ci fidiamo dei maestri, non ci fidiamo nemmeno di noi stessi. Sappiamo che c’è qualcosa che non va nel fatto che nostro figlio ci imponga di eseguire i suoi comandi ma ci travolge la paura. Abbiamo paura che la sua infanzia lo traumatizzi. Abbiamo paura che ponendo limiti ci odi. Abbiamo paura che i nostri NO a lui siano NO a noi stessi. E questa paura ci paralizza, ci confonde, ci spinge a dire sì. O peggio, a non dire niente. E l’istinto si estingue. Muore. E mentre muore, muore anche la capacità di riconoscere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato. Muore la capacità di percepire il limite, di accettare la frustrazione, di gestire la rabbia. I bambini si arrabbiano. Sì, lo fanno. E noi possiamo insegnare loro che arrabbiarsi è una cosa, scaricare la propria rabbia sugli altri è un’altra. E' giusto confrontarsi, osservare ciò che ci circonda, informarci e conoscere ma è altrettanto giusto guardare dentro di sè. Allora non abbandoniamo il nostro istinto. Che siamo pedagogisti o impiegati o operai o casalinghe o qualsiasi altra cosa, non perdiamo l’istinto di essere genitore che si prende la responsabilità di provarci!!!

lunedì 14 marzo 2016

Un valore da riscoprire

Sì, lo so, adesso scriverò una parola che non piace, una parola difficile e scomoda, ma la scriverò comunque e lo farò in maiuscolo. E non solo la scriverò ma costringerò tutti voi a leggerla e a farla entrare nella vostra mente. Una parola che oggigiorno tutti rifuggono in quanto orribile e assolutamente da evitare, non vintage ma vecchia e obsoleta. La parola che scriver è: RINUNCIA. Ecco. L’ho scritta. E mentre la scrivo vorrei tanto che con uno schiocco di dita molti di noi la facessero propria. Vorrei che diventasse finalmente una scelta quotidiana di una buona fetta del genere umano. Vorrei che fosse così perché, se succedesse, in un attimo sparirebbero decine di situazioni paradossali e assurde a cui ho dovuto assistere. Sparirebbero i  terribili momenti in cui i bambini di sei mesi piangono dentro ai cinema bui per assecondare l’ego di genitori che vogliono vedere la prima dell’ultimo film di Harry Potter. Sparirebbero anche quelli in cui bambini di un anno e mezzo passano intere giornate dentro a una soffocante sala congressi distratti solo da qualche passeggiata su e giù per le scale e da un trattorino di legno per permettere alla mente della loro madre di assimilare nozioni pedagogiche (sì, pedagogiche…l’apoteosi dell’assurdo). Sparirebbero i bambini che dormono sulle sedie delle sale bingo. Sparirebbero quelli che giocano sulle scale di una discoteca. Quelli, piccolissimi, che piangono nei ristoranti nel cuore della notte. Se una parte dell’umanità  imparasse il senso profondo della rinuncia potrebbe diventare libera. Libera dal proprio smisurato ego. Libera dagli armadi pieni di vestiti etichettati, dalla sfrenata corsa al consumismo, dalle gare di popolarità a tutti i costi, dalla legge della giungla. Se solo imparassimo a lasciare il passo, a dare la precedenza, a fare un passo indietro. Se solo scegliessimo di dire “posso farne a meno”! Se madri e padri sapessero che nella rinuncia di oggi si costruisce la relazione di domani coi propri figli. Se solo sapessimo quanta memoria ha l’assenza, quanta memoria ha l’inconcluso, il lasciato da parte. Se solo sapessimo che per ogni bambino che dorme sotto un tavolo c’è uno squarcio nella dignità dell’essere genitore. Rinunciare non significa annullare ma rimandare. C’è un tempo per ogni cosa e il tempo della genitorialità è il tempo della scelta. I nostri bambini non sono piccoli per sempre e scegliere di rinunciare per esserci non è perdere ma guadagnare. Dedicarsi tempo per sé è un diritto sacrosanto che ognuno di noi ha ma che non deve ledere il diritto dei nostri bambini a essere bambini. Se il nostro diritto a una serata danzante corrisponde al dovere dei nostri bambini di addormentarsi su un divanetto del locale allora lì, in quel momento, noi perdiamo il nostro diritto a favore di un altro, inviolabile, intoccabile, ineliminabile diritto: quello dei nostri figli di chiederci di RINUNCIARE!!!

martedì 8 marzo 2016

8 Marzo

“Ma che bella notizia: aspetti un figlio!”
Nella giornata dedicata alle donne io rifletto su una sfumatura speciale dell’essere donna, rifletto sulla maternità. Rifletto sulle donne che hanno potuto scegliere di diventare madri, su quelle che l’hanno desiderato oltre ogni immaginario ma che non hanno avuto la possibilità di realizzare il loro sogno e su quelle che lo hanno realizzato donando il loro senso materno e il loro amore a creature già concepite. Penso alle madri che si ritrovano sole. Sole dopo aver condiviso la scelta della genitorialità o sole perché la vita gli ha tolto il compagno, padre dei loro figli. Penso alle madri e al senso di sacrificio, alle rinunce, lavorative e sociali, alle notti in bianco e alla stanchezza. Penso alle madri e al senso dell’essere madre.
Chiudo gli occhi e penso alla donna che ha dato la notizia ad amici e famigliari con la gioia negli occhi: aspetto un figlio! E penso ai suoi pensieri. Mi domando quali immagini una futura mamma associ ad un bimbo e quali ad una bimba. Quali aspettative, quali investimenti affettivi, economici, sociali.  Mi chiedo quali azioni educative metterà in campo in funzione della differenza di genere del proprio bambino e mi chiedo se ha già in mente quale genere di educazione vorrebbe dare alla nuova creatura che arriverà nella sua vita. Chissà se questa mamma ha fatto le stesse riflessioni, se si è fermata a pensare a cosa significa avere un bambino piuttosto che una bambina. Sono riflessioni semplici che stanno però alla base di scelte educative precise che ognuno di noi compie, più o meno consapevolmente, mentre cresce i propri figli. Sono scelte che si fondano su atteggiamenti mentali profondi e radicati nella nostra cultura, nel nostro vissuto familiare, nei nostri desideri anche nascosti e nei nostri sogni più profondi. Penso alla donna, madre di una futura bambina, e al senso di indipendenza, forza, spirito di iniziativa e amor proprio che dovrà trasmettere alla propria figlia. Penso alla donna, madre di un futuro bambino, e al senso di indipendenza, forza, spirito di iniziativa e amor proprio che allo stesso modo dovrà trasmettere al proprio figlio. Valori fondanti. Valori dell’essere umano in quanto tale pur nel suo essere unico e irripetibile. Lo stesso pensiero educativo per due creature che, al di là delle diversità, potranno e dovranno avere le stesse opportunità in un mondo in cui, sogno, le persone avranno un valore per la loro stessa essenza e non certo per la differenza di genere. Auguri a tutte le donne, passate, presenti e future perché possano vivere in un mondo di rispetto quotidiano della loro essenza di esseri umani!

domenica 6 marzo 2016

Il valore della dignità

Ho ripensato in questi giorni a un aneddoto accaduto circa 20 anni fa. E’ strano come a volte tornino alla memoria esperienze che pensavi di aver dimenticato ma che in realtà hanno lasciato una traccia indelebile nella tua esistenza. Era il periodo in cui la mia nonna era ricoverata agli ospedali riuniti di Bergamo perché purtroppo non stava troppo bene. Erano ormai diversi giorni che era ricoverata e, come accadeva spesso a casa quando il sabato mi divertivo a fare la piega a lei e alla mia mamma, un giorno mi chiese di aiutarla a lavarsi i capelli e a sistemarli. Ricoverata con lei si trovava una signora in gravi condizioni di salute. Aveva una malattia incurabile. Mia nonna aveva instaurato una semplice e consolatoria amicizia con questa signora. Chiacchieravano, si tenevano compagnia, a volte, se stavano bene, giocavano a carte. Quella signora, dopo avermi visto fare la piega alla mia nonna, mi chiese con garbo e gentilezza se potevo farla anche a lei. Non era il mio lavoro e non ero abituata a sistemare i capelli a persone estranee. L’ho fatto molto volentieri nonostante non nego di essermi sentita un po’ in imbarazzo. Ricordo che mi aveva ringraziata tanto, che si era guardata più volte allo specchio e che io mi ero scusata perché non ero propriamente un’esperta. Ma lei era proprio felice e disse che si sentiva finalmente in ordine. Al momento non ho compreso il senso profondo di quell’esperienza, ma adesso, dopo tanti anni, dopo essere diventata mamma, dopo aver lavorato con tanti generi di dolore, ho finalmente capito. Ho capito quanto desiderio di dignità ci fosse in quella signora e in mia nonna che, nonostante si trovassero in un momento di grande dolore e perdita di sé, non hanno smesso di cercare la propria dignità anche solo in una piega fatta da una ragazza inesperta. E allora penso a quanto valore abbia la dignità, la cura di sé, il volersi bene e l’apprezzarsi anche nei momenti di dolore e fatica. Adesso so che quel giorno ho imparato questo. Adesso so che vorrei che i miei figli conoscessero questo grande valore che non è vanità ma dignità. La dignità del volersi bene, la dignità del ritrovare se stessi, l’amor proprio, la cura per sé. Quanto è grande questo valore e quanto è grande e indispensabile il suo insegnamento come fondamento e base solida per non perdersi nella disperazione e per non gettarsi mai via. Quanto forte è un essere umano pieno di dignità, che a testa alta affronta la propria vita nel bene e nel male. Vorrei riuscire a insegnare la dignità ai miei figli perché un essere umano che conosce il valore della dignità è un essere umano ricco!

mercoledì 2 marzo 2016

L'equilibrio della bellezza

Sono seduta in biblioteca e devo dire che è un vero piacere poterlo fare! Che meraviglia! Reputo questo un luogo Ricco: basta aprire un libro, uno qualunque, e si ha la possibilità di immergersi in immagini o testi e essere trasportati all’istante in un altro mondo… la ricchezza delle infinite possibilità che la nostra mente ha per poter viaggiare.
Ma in questa biblioteca c'è un sottofondo particolare. Bambini e ragazzi apprendono l’arte di diversi strumenti musicali in alcune delle stanze qui a fianco: archi, fiati, strumenti a corda...così, mentre io rifletto sulla mia giornata, aleggiano le note di brani più o meno famosi, un connubio tra letteratura e musica veramente interessante. Ora che mi guardo intorno mi accorgo che sono seduta proprio accanto alle opere fotografiche, a quelle pittoriche e alle scienze sociali. Sarà un caso? Chiudo gli occhi e ripercorro la mia giornata lavorativa trascorsa. Ripenso ai bambini e a ciò che mi hanno raccontato, a quello che abbiamo fatto e penso che vi sia una sorta di visione poetica che il bambino ha di ciò che vede, sente, annusa e assapora. Allora penso al senso del bello che la contemplazione di alcune opere genera e al senso di equilibrio e di piacere che se ne riceve.
Gli occhi, attraverso la bellezza, si allenano al senso delle proporzioni, alla cura dei dettagli. Le orecchie si abituano al senso del ritmo, ad ascoltare e ascoltarsi, alla ricerca di quello che è il ritmo della propria vita. Possiamo osservare la bellezza della natura e scoprire di quante forme geometriche perfette è composta. Possiamo osservare con attenzione le molteplici tonalità dei suoi colori e delle infinite sfumature di cui è composta. E poi possiamo osservare con ammirazione la capacità dell’uomo di creare capolavori siano essi quadri, sculture, opere architettoniche o opere musicali, danze o opere letterarie. E’ con questa convinzione che credo sia importantissimo donare ai nostri bambini occasioni di contemplazione e sperimentazione verso tutte le forme d’arte. Così ripenso alle mie personali esperienze. Penso alle volte in cui assieme ai miei figli siamo stati al museo. Penso alle loro osservazioni in merito alle opere che vedevano. Penso al museo di Toronto dove all'ingresso un cartello “ munariano” recita: ingresso per i bambini e gli adulti che si comportano bene, qui si deve toccare tutto! Penso al viso di mia figlia quando è entrata al teatro La Scala ed è andata a vedere l'orchestra nella buca. Penso al suo viso mentre a bocca aperta vedeva lo schiaccianoci. Penso a quanto faccia bene imparare ad osservare in generale il bello in senso lato. Credo vi sia un senso di equilibrio generato dalla possibilità di respirare in luoghi storici e artistici. Credo che l'uomo abbia la capacità di generare il bello e il buono ma che a questo debba essere educato! Sì, un’educazione rivolta al senso del bello capace di sfruttare tutti i nostri sensi: la vista, il tatto, l'udito; una capacità globale, una metacompetenza che stimoli il nostro vivere.

Credo infine che questo possa servire anche come regolazione delle nostre personalità intesa come capacità di attendere, osservare, ascoltare, rielaborare. Attorno a noi vi è il bello, sta a noi la capacità di saperlo cogliere anche nelle piccole opere quotidiane e sta a noi insegnare ai nostri figli a ricercarlo come stimolo per una vita in equilibrio.