Questo blog è scritto a quattro mani. Quando leggerete troverete l'essenza di noi. Leggerete la nostra esperienza di vita, come mamme e come educatrici. Questo blog è la nostra visione pedagogica. Questo blog siamo noi! Il nostro motto è: L'ESPERIENZA DEGLI EDUCATORI AL SERVIZIO DEI GENITORI! Aiutateci a rendere speciale questo blog con le vostre condivisioni e i vostri commenti...

venerdì 28 ottobre 2016

Il mondo che ho nella testa

 A volte mi sento un pesce fuor d’acqua. O meglio, un pesce che s’arrampica su un albero, per citare Einstein. Mi guardo intorno e mi accorgo di quanto il mondo giri al contrario e di come io non riesca a salire a bordo. Per quanto mi sforzi, per quanto ci provi, lui continua a girare dalla parte sbagliata e io continuo a tentare di salire senza successo. Decine di migliaia, decine di milioni, insomma, una moltitudine di persone che proprio io non riesco a capire. Tutti vanno e non dovrebbe andare. Dovrebbero fermarsi e sedersi a pensare. Ma non lo fanno e continuano ad andare. E più io penso e guardo, più le cose vanno per il verso sbagliato. Allora io mi domando se non sia il mio punto di vista a essere sbagliato. Certo, sempre citando Einstein, il mio punto di vista è certamente “relativo”, limitato, soggettivo. Ma è il mio e con esso a me tocca convivere. E il mio punto di vista mi dice che questo mondo sta proprio andando alla deriva. Non in senso fisico, visto che si muove in orbita attorno al sole da miliardi di anni, in equilibrio perfetto, alla distanza perfetta per garantire la vita, in un moto continuo. Ma in senso etico e morale. Va alla deriva e incredibilmente se ne frega. Gli esseri umani se ne fregano. Ce ne freghiamo. Non riusciamo a comprendere quanto sia meraviglioso e incredibile che proprio noi, in questa immensità, siamo vivi. Noi, fatti di ciò che son fatte le stelle, fatti di polvere di materiale universale arrivato da chissà dove, da piccole particelle legate alla vita da un soffio, mentre fuori c'è il nulla cosmico. Siamo terribilmente soli e fragili, seduti sopra un castello di carte con una spada di Damocle sopra la testa ma, nonostante questa enorme verità, riusciamo a passare il nostro tempo a dimenticarcene, accalcati dentro a centri commerciali ricolmi di nulla mentre fuori gli altri alzano muri e confini, mentre schierano missili nucleari di portata apocalittica, mentre affondano nazioni interne sotto milioni di barili di petrolio. Ce ne stiamo lì a urlare e strapparci i capelli per avere l'ultimo i-phone senza sapere che tutti stiamo affondando contemporaneamente. E io proprio non capisco. Non riesco a farmene una ragione. Perché? Perché la nostra mente funziona come una matrioska dove il contenitore più piccolo in cui ci troviamo ci rende ciechi e indifferenti rispetto a ciò che sta fuori? Cosa può cambiare questa visione limitata che abbiamo di noi e degli altri e del mondo e dell’universo? Cosa potrebbe spingere le persone a dire “mi interessa”, a guardarsi dal di fuori e a domandarsi “ma che cosa sto facendo”?
So che nessuno sarà mai in grado di rispondere a queste domande e che forse la risposta non esiste o, ancora meglio, che ne esistono molte. So che con le mie mani nude difficilmente riuscirò a risalire la cascata da cui sono scesa per vedere cosa c’è sopra e che forse dovrei smettere di sforzarmi di nuotare controcorrente. Ma io non riesco a smettere di guardare il messaggio della campagna di Save the Children che ogni dieci minuti intervalla la proiezione dei goal della giornata e non riesco a smettere di dirmi quanto male stiano insieme queste due cose. In un mondo ideale non dovrebbero esserci bambini da salvare mentre qualcuno si picchia per un goal. Nel mondo che ho nella mia testa qualcosa è andato storto. Siamo davvero gli esseri evoluti che ci vantiamo di essere? O siamo solo quella matrioska che nasconde e camuffa molto bene l’essere dis-umano che c’è in noi?
Penso e mi arrovello e in questa giornata di fine ottobre scrivo. Scrivo per riflettere e non scordare le mie riflessioni. Scrivo per ricordare che ho il potere del pensiero e che posso pensare un progetto diverso. Posso muovere una pedina e cambiare il corso della mia partita. E posso farlo anche per qualcun altro perché io ho la fortuna di aver scelto il lavoro più incredibile che esista. Ho scelto di essere un’educatrice e di occuparmi del nostro futuro. Posso essere qualcosa di importante per qualcuno, posso mostrare cose importanti a qualcuno, posso raccontare cose importanti e trasmettere una visione diversa del mondo che verrà. Forse è poco, forse non è nulla o magari invece è tanto. E so che dovrà essere mia cura scegliere il messaggio da trasmettere. Sarà mia cura fermarmi e pensare. Fermare e pensare. La sfida sarà enorme e il risultato incerto, ma per l’idealista che sono non può essere che io non ci provi. Voglio che le persone possano capire. Voglio provarci pur sapendo che avrò con me soltanto le mie mani nude e il mondo che ho nella testa per tentare di cambiare il mondo che oggi è.

venerdì 7 ottobre 2016

Le scintille

Qual è la sfida più difficile per un educatore? Me lo sono chiesta tante volte e spesso mi fermo a meditarci. Forse è la relazione con i bambini? Forse quella con i colleghi o i genitori? Forse le incombenze quotidiane e i limiti del luogo in cui ci troviamo? Io non credo. Quella che io percepisco come la sfida più grande è il fatto di non perdere mai l’entusiasmo. La scintilla che accende il pensiero. Il desiderio di non appiattirsi, di accogliere le sfide e di affrontarle cercando nuove e innovative risposte. Aprire la propria mente, uscire dal quotidiano e vedere oltre. Alzarsi in volo e vedere quella miriade di possibilità che l’essere umano è. Questa io credo sia la grande sfida. Ogni giorno, troppo spesso, incontro adulti troppo adulti. Insegnanti ed educatori “cattedratizzati” e “cattedratizzanti”, senza spirito, spenti. Insegnanti ed educatori che spengono scintille e che omologano e si omologano verso il basso. Riuscire a non farsi fagocitare da tutto questo, a non lasciarsi spegnere, è lo sforzo più grande che viene richiesto a ognuno di noi. Qualcuno, una volta, mi ha detto scherzando di non guardare troppo fuori dalla porta altrimenti quando si rientra e ci si scontra con la realtà del sistema educativo scolastico poi ci prende la depressione. Forse è vero. Forse fermarsi, formarsi, riflettere, incontrare alternative, vedere oltre, ha questo triste rovescio della medaglia: il fatto di sentirsi impotenti di fronte al sistema immobile e quindi, di conseguenza, di percepirsi disarmati. Forse! Ma io non penso che sia così. Io non voglio perdere la mia scintilla. Io voglio continuare a formarmi, a conoscere e a mettermi in gioco, voglio continuare a tenere accesa la mia fiamma, voglio continuare a rubare qualche minuto al cambio dell’ora per far fare ricreazioni cerebrali ai miei ragazzi, voglio girare tra i banchi mentre assistono all’ultima estenuante lezione frontale della giornata e tenerli svegli con qualche stratagemma che li faccia sorridere, voglio accendere la musica, farli camminare per comprendere quanto tempo passa prima dell’arrivo dell’uomo sulla terra. Voglio continuare a credere che sia possibile contagiare chi ho di fianco per far divampare un incendio di idee. So che è possibile. Ci credo. E so che posso e devo provare a contagiare anche chi ogni giorno entra in classe e si siede in cattedra. Certo, so bene che fortunatamente esistono molti insegnanti fortemente motivati, entusiasti, desiderosi di fare. Ma so anche, purtroppo, che ne esistono altri che si son spenti in una routine fatta di scadenze, di documenti da riempire, di scartoffie da compilare, di progetti da mettere per iscritto, di richieste che catturano in una ragnatela. E so infine che tra questi ultimi ce ne sono diversi che quella scintilla non l’hanno spenta del tutto ma solo sopita, smarrita nel quotidiano. Ed ecco la sfida che mi sento di raccogliere. La sfida di riuscire a riconoscerli e a contagiarli perché so che, non appena a contatto con il virus, questi insegnanti s’infiammeranno e si lasceranno trasportare, accenderanno idee, svilupperanno proposte che poi cambieranno il loro modo di esserci. So che è possibile. L’ho sperimentato. Forse non sempre, forse non con tutti, ma so che è possibile provarci anche correndo il rischio di fallire nel tentativo. Posso fallire ma come educatore sento il dovere pedagogico di non smettere di provarci, di non spegnermi, di perseguire l’obiettivo di impedire che gli altri si spengano. Gli alunni per primi, gli insegnanti poi e infine le famiglie. So che si può fare. Si può mostrare e dare possibilità. Vedere che qualcosa può cambiare. Un giorno dopo l’altro, un passo dopo l’altro. Essere educatore per essere formatore. Mostrare con il proprio essere il poter essere. Vorrei che chi ancora possiede questo entusiasmo non permetta agli altri di spegnersi. Perché un futuro più luminoso è possibile grazie alle scintille di oggi.