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venerdì 7 ottobre 2016

Le scintille

Qual è la sfida più difficile per un educatore? Me lo sono chiesta tante volte e spesso mi fermo a meditarci. Forse è la relazione con i bambini? Forse quella con i colleghi o i genitori? Forse le incombenze quotidiane e i limiti del luogo in cui ci troviamo? Io non credo. Quella che io percepisco come la sfida più grande è il fatto di non perdere mai l’entusiasmo. La scintilla che accende il pensiero. Il desiderio di non appiattirsi, di accogliere le sfide e di affrontarle cercando nuove e innovative risposte. Aprire la propria mente, uscire dal quotidiano e vedere oltre. Alzarsi in volo e vedere quella miriade di possibilità che l’essere umano è. Questa io credo sia la grande sfida. Ogni giorno, troppo spesso, incontro adulti troppo adulti. Insegnanti ed educatori “cattedratizzati” e “cattedratizzanti”, senza spirito, spenti. Insegnanti ed educatori che spengono scintille e che omologano e si omologano verso il basso. Riuscire a non farsi fagocitare da tutto questo, a non lasciarsi spegnere, è lo sforzo più grande che viene richiesto a ognuno di noi. Qualcuno, una volta, mi ha detto scherzando di non guardare troppo fuori dalla porta altrimenti quando si rientra e ci si scontra con la realtà del sistema educativo scolastico poi ci prende la depressione. Forse è vero. Forse fermarsi, formarsi, riflettere, incontrare alternative, vedere oltre, ha questo triste rovescio della medaglia: il fatto di sentirsi impotenti di fronte al sistema immobile e quindi, di conseguenza, di percepirsi disarmati. Forse! Ma io non penso che sia così. Io non voglio perdere la mia scintilla. Io voglio continuare a formarmi, a conoscere e a mettermi in gioco, voglio continuare a tenere accesa la mia fiamma, voglio continuare a rubare qualche minuto al cambio dell’ora per far fare ricreazioni cerebrali ai miei ragazzi, voglio girare tra i banchi mentre assistono all’ultima estenuante lezione frontale della giornata e tenerli svegli con qualche stratagemma che li faccia sorridere, voglio accendere la musica, farli camminare per comprendere quanto tempo passa prima dell’arrivo dell’uomo sulla terra. Voglio continuare a credere che sia possibile contagiare chi ho di fianco per far divampare un incendio di idee. So che è possibile. Ci credo. E so che posso e devo provare a contagiare anche chi ogni giorno entra in classe e si siede in cattedra. Certo, so bene che fortunatamente esistono molti insegnanti fortemente motivati, entusiasti, desiderosi di fare. Ma so anche, purtroppo, che ne esistono altri che si son spenti in una routine fatta di scadenze, di documenti da riempire, di scartoffie da compilare, di progetti da mettere per iscritto, di richieste che catturano in una ragnatela. E so infine che tra questi ultimi ce ne sono diversi che quella scintilla non l’hanno spenta del tutto ma solo sopita, smarrita nel quotidiano. Ed ecco la sfida che mi sento di raccogliere. La sfida di riuscire a riconoscerli e a contagiarli perché so che, non appena a contatto con il virus, questi insegnanti s’infiammeranno e si lasceranno trasportare, accenderanno idee, svilupperanno proposte che poi cambieranno il loro modo di esserci. So che è possibile. L’ho sperimentato. Forse non sempre, forse non con tutti, ma so che è possibile provarci anche correndo il rischio di fallire nel tentativo. Posso fallire ma come educatore sento il dovere pedagogico di non smettere di provarci, di non spegnermi, di perseguire l’obiettivo di impedire che gli altri si spengano. Gli alunni per primi, gli insegnanti poi e infine le famiglie. So che si può fare. Si può mostrare e dare possibilità. Vedere che qualcosa può cambiare. Un giorno dopo l’altro, un passo dopo l’altro. Essere educatore per essere formatore. Mostrare con il proprio essere il poter essere. Vorrei che chi ancora possiede questo entusiasmo non permetta agli altri di spegnersi. Perché un futuro più luminoso è possibile grazie alle scintille di oggi.

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