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martedì 21 marzo 2017

Ce la faremo?

Me lo chiedono a gran voce, loro: il mio ferro da stiro, la mia lavatrice, la mia lavastoviglie, il mio robot che aspira ininterrottamente tutti i santi giorni della settimana puntuale come un orologio Svizzero, sette giorni su sette! Li sento che si lamentano “Basta! Basta!”. E perché? Vogliamo forse non dar voce al mio pc e al mio tablet che fanno da sempre le ore piccole? Possiamo non ascoltare i loro lamenti? “E che diamine! In questa casa non c’è più criterio!”.
I miei vicini hanno affermato tempo fa che i miei elettrodomestici esultano dalla gioia quando vado in vacanza! E hanno ragione.
Oh, quasi dimenticavo! Come posso averlo scordato? Non sono assolutamente democratica. Di tutti i collaboratori involontari e assolutamente preziosi che sostengono la mia esistenza, ho trascurato proprio lui: il mio cellulare!
Oggetto moderno più che mai indispensabile, irrinunciabile, presenza fissa della mia esistenza, presente e futura. Lui c’è! E’ proprio così, c’è sempre. Ci penso e non riesco a capacitarmi di come un oggetto così piccolo possa contenere contemporaneamente desideri, gioie, tristezze, paure. Eppure doveva servire solo a comunicare con maggior facilità, doveva al limite supportarci nelle attività lavorative, organizzative, pragmatiche.
E invece?
Invece si è trasformato nel custode della nostra anima, dei nostri ricordi, dei nostri affetti e della nostra socialità. Allora forse sarà per questo che non riusciamo, ma proprio non ce la facciamo a separarci da lui? A spegnerlo? A lasciarlo a casa? Per questo non riusciamo a silenziarlo quando siamo a casa o durante una serata fuori? Per questo ci risulta più facile silenziare chi ci sta vicino anziché il nostro cellulare?
Me lo chiedo davvero, una domanda profonda: perché la sera, dopo che la giornata di lavoro è finita, noi non riusciamo a spegnere il telefono?
Troppo alta la richiesta? Abbassiamo! Per l’ora di cena? Abbassiamo! Per 30 minuti? Abbassiamo di nuovo.  Per il tempo necessario a parlare con i nostri figli rientrati una volta riuniti a casa? Abbassiamo definitivamente. Per l’attimo sufficiente a guardarli negli occhi i nostri figli e dire loro “Ciao, hai passato una buona giornata?”
E’ ancora troppo il tempo di GUARDARE NEGLI OCCHI? E se abbassassimo ancora la richiesta? Che cosa ci resta? Forse la fotografia del nostro sguardo da inviare loro tramite whatsapp.
Sono cinica, lo so. Drammatica e antiquata, anche. Ma, vedete, incontro tanti genitori, tanti insegnati, tanti istruttori, educatori con la E maiuscola e tra loro molte, moltissime persone semplicemente rassegnate che utilizzano frasi come “ai nostri tempi non era così, non c’era la tecnologia, e bla bla bla”. Ascolto e penso “Davvero è colpa della tecnologia?”. Forse. O forse dovremmo semplicemente fermarci (cosa assolutamente fuori tempo visto il mantra che ci vuole tutti sul pezzo, tutti collegati, tutti efficienti e impattanti). Ma se ci riuscissimo? Se riuscissimo in questo “miracolo” di fermarci potremmo riflettere su quali bisogni nasconde la dipendenza da cellulare. Potremmo avanzare anche ipotesi e possibili soluzioni di liberazione. E sapete perché mi faccio questa domanda? Per il semplice fatto che NOI ADULTI chiediamo, anzi intimiamo ai nostri figli, generazioni nate CON queste tecnologie, di smettere, di lasciare quei benedetti” telefonini, di ascoltarci. Ma noi siamo i primi a non riuscire a smettere. E allora che educatori siamo? Cosa chiediamo loro e cosa mostriamo loro? Ma certo, diranno in molti, per noi è diverso, noi lavoriamo. E già, altra questione pregnante: se è lavoro, allora tutto, ma proprio tutto, passa in seconda piano? E in questo caso cosa stiamo dicendo loro? Ciò che diciamo con le nostre azioni ha un peso enorme rispetto a ciò che diciamo con le parole. Una lotta impari: azioni vs parole. E continuiamo senza nemmeno accorgercene. Chiediamo ai nostri figli di ascoltare mentre non li ascoltiamo, di guardarci mentre non li guardiamo, di smettere mentre non smettiamo. Chiediamo loro di esserci mentre loro vedono un genitore assente, sempre di corsa, che cerca di districarsi fra mille impegni incastrati in agende che, proprio non capisco come mai, sono sempre così piccole…
Cosa ci resta allora se non lanciare una sfida nuova. Una sfida che può essere abbraccia da chiunque di noi abbia pensato, almeno una volta nella propria di vita di genitore, che qualcosa non va.
Ecco la nostra sfida:

  1. Scegliete un tempo da condividere coi vostri figli
  2. Togliete tutti i tipi di suoneria e vibrazioni dal telefono
  3. Scrivete sui vari social “chiedo perdono al mondo ma dovrà sopravvivere senza di me, io sono impegnato con la mia famiglia”
  4. Dedicatevi ad attività di condivisione gradevoli e rassicuranti coi vostri figli


Buon esperimento a tutti e.... fateci sapere come è andata!

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