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domenica 17 aprile 2016

Voler esserci!


Sono le 20.30 di un lunedì sera e la giornata è stata impegnativa per tutti, ma forse vale la pena esserci.
Mi siedo un attimo ed osservo le persone sedute davanti a me. Mi guardano, poi guardano la mia collega, poi me, la slide di inizio corso e poi di nuovo me.  E io osservo loro. E mentre sorrido penso che è come vedersi allo specchio. Siamo riflessi.  Io qui e loro lì, ma solo poche ore fa io ero lì e i docenti di mio figlio qui a spiegarmi il suo andamento scolastico. E prima ancora io ero di nuovo qui, come educatrice, e i bimbi della scuola dell’infanzia lì. Molteplici punti di vista, diverse angolature da cui vivere e osservare le relazioni umane tra figure diverse, tra genitore e figlio, tra alunno e docente, tra formatore e genitore. E allora scorre la mia riflessione. Tutto questo essere o agire deve pur avere un senso, penso.
Punti di vista riflessi che cercano un senso nel reciproco agire, che danno un senso e che formano senso legando parole a significati e significati a gesti che tutti compiamo nell’arco delle nostre 24 ore, più o meno consapevolmente. Cosa conta allora se non il rendersi un pochino più consapevoli di queste dinamiche relazionali, se non comprendere ciò che differenzia l’agire dall’agire educativo, se non rendersi più responsabili delle proprie azioni come espressioni del proprio pensiero. Riflettere. Pensare. Scegliere. Agire.
Forse è già questo l’intento della formazione? Sì, perché penso che le persone che decidono di uscire di casa per andare a seguire una serata formativa per genitori si sono già poste delle domande. Hanno sicuramente letto, argomentato e hanno voglia di cercare risorse utili alla loro causa.  Quindi hanno un’idea nella testa o stanno cercando un’idea. Stanno cercando di fare chiarezza su dove vogliono andare con i propri figli. E allora forse sono qui per la voglia di rimescolare le carte, di guardare con occhi diversi o solo per cercare conferme.
E io, dal canto mio, sono qui per portare la mia visione pedagogica, i miei anni di lavoro sul campo in contesti diversi, la pluralità di sguardi educativi e di situazioni nelle quali si sono cercate e trovate possibili risposte e nelle quali mi sono trovata a osservare le relazioni. Sono qui per condividere esperienze, per accendere riflessioni, per aprire porte. Sapete? Non sono mai riuscita a leggere i testi in cui si danno risposte certe e soluzioni immediate e nemmeno mi interessano molto le mode educative, che reputo cicliche come quelle per l’abbigliamento, ma sono sicura che se scrivessi uno dei tanti nomi nobili della pedagogia italiana, Maria Montessori, e se citassi una frase tipo “l’adulto deve aiutare il bambino a fare da sè tutto quanto gli è possibile fare”, tutti direbbero certamente “Vero!”. Poi però, a conti fatti, nella pratica educativa quotidiana, molti di questi “vero!” si trovano ad allacciare le scarpe ai propri figli, a tagliare loro la carne, a raccogliere e  riordinare i loro giochi, a colorare i loro compiti, ad arrabattarsi fra i compiti non scritti e le verifiche non segnate, e potrei continuare oltre. E allora tutta la teoria pedagogico-educativa sfuma dinnanzi alle sfide della quotidianità. E io porto queste letture. E porto i miei perché. Perché? Forse perché è più facile. Forse perché è più veloce. Forse perché non ci si pone obiettivi. Forse perché non si vuole realmente esserci! Sì, forse è proprio questione di voler esserci!
La scorsa settimana, al termine di una serata di formazione per genitori, una mamma, parlando di scuola e di relazione educativa bambini-insegnanti, mi ha detto: bisogna voler esserci! E guarda caso, ieri sera a cena con un’amica che insegna filosofia al liceo, tra le altre frasi dette è spuntata proprio questa “Bisogna voler esserci!”.
Sì, ma che vuol dire?
Vuol dire che i bambini e i ragazzi hanno lo scanner incorporato. Hanno la capacità di mapparci dentro come nessun apparecchio super futurista è in grado di fare oggi. Significa che loro lo sanno se noi adulti “vogliamo esserci”. Significa che un genitore deve voler scegliere e deve voler fare la differenza nella relazione educativa col proprio figlio. Significa che quando vuoi esserci entri in una classe e fai la differenza, come educatore!
E’ questo! E’ la vicinanza educativa. Quella che spaventa perché non è autorità né amicizia ma è quella che rende molto sottili seppur non assenti i confini tra docenza e alunni, quella che accorcia le distanze di genere e di generazione, quella che permette di traghettare i bambini e i ragazzi ovunque, nel domani, nel futuro, nelle sfide impegnative e faticose, quella che insegna la vita al di là dei contenuti. Ma quella roba qui dove la si compra? Non si compra e non si vende. Quella roba qui si è e basta!

Essere educatore dentro all’essere genitore significa avere quella capacità empatica di sintonizzarsi sulle corde altrui per scovare le possibilità con cui costruire una relazione com-passionevole. Significa ascoltare e non sentire. Significa chiedere e cercar risposte. Significa vedere oltre. Voler esserci significa trasmettere ai bambini e ai ragazzi la propria passione per ciò che pensiamo, facciamo e infine diciamo. Agire da educatore significa credere fermamente che il nostro essere sia un punto fermo per loro. Agire nelle proprie idee, saperle esprimere e sostenere anche sbagliando, cadere e rialzarsi, chiedere scusa, chiedere aiuto, ammettere il nostro essere “finiti” ammettendo di non conoscere e cercando magari di scoprire insieme. Questo è ciò che i figli vogliono da noi. Vogliono che ci siamo. Che siamo lì con loro.

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