La prima cosa che le persone
cercano di capire quando nasce un bambino è a chi assomiglia. Lo osservano,
scrutano il suo sguardo, la forma del naso, quanto sono lunghi i piedi e
perfino il colore degli occhi. Cercano di carpire il legame fisico fra il
bambino e i suoi genitori. Qualcuno dice che assomiglia alla mamma, qualcun
altro al papà, altri ancora azzardano alla nonna o allo zio. Trovano
somiglianze anche quando non ci sono. Ma c’è un legame, molto più profondo, che
ogni bambino ha con le persone che lo hanno generato. C’è un legame fatto di
emozioni, vissuti, bagagli esperienziali che non possiamo riconoscere
immediatamente nei bambini, che si nasconde dentro di loro e che li
accompagnerà per tutta la vita. E’ qualcosa che c’è, qualcosa che si trasmette,
da genitore a figlio. Su questo legame profondo costruiamo le nostre relazioni.
Ciò che siamo è visibile in ciò che i nostri figli sono e in ciò che i nostri
genitori erano. Il bambino che siamo stati, il figlio che eravamo è l’origine
del nostro essere genitore. E’ qualcosa di difficile da spiegare e ancor più
difficile da comprendere. E’ qualcosa che va molto oltre la somiglianza fisica.
Dicono che nasciamo con una dote, quella genetica, che ci viene trasmessa dai nostri
genitori naturali. E poi cresciamo relazionandoci con l’ambiente che ci
circonda, con i care givers, le persone che si prendono cura di noi e che
entrano in relazione con la nostra dote, che la plasmano dando origine a noi.
Siamo esseri biologici e esseri sociali allo stesso tempo; ci modifichiamo e ci
plasmiamo creando legami che a nostra volta trasmetteremo ai nostri figli
aggiungendo dote a dote. Tenere conto di tutto questo, educando i nostri figli,
significa approfondire la conoscenza di ciò che siamo, significa ritrovare le
nostre origini per comprendere le nostre scelte genitoriali, significa farsi
domande sul sé per darsi risposte sull’altro da sé. Ignorare questa cosa
diviene educare senza una radice e senza una rotta, travolti dagli eventi, travolti
da ciò che eravamo che senza briglia può schiacciare ciò che siamo. Conoscersi
e conoscere i propri legami sociali è importante per ritrovare la rotta. A
volte alcuni genitori mi raccontano le loro fatiche a comprendere i propri
figli, le loro paure nell’affrontare una distanza che non riescono a
decodificare (parlo soprattutto degli adolescenti). Ma accorciare questa
distanza non è impossibile. Serve determinazione e introspezione. Fermarsi come
genitori e guardarsi allo specchio cercando di capire chi siamo, che figli
siamo stati, che genitori abbiamo avuto e che genitori vogliamo essere è il
primo passo verso la comprensione e il cambiamento. Colmare la distanza è prima
di tutto coprire il divario che c’è fra quello che siamo e quello che potremmo
essere. E’ importante incontrarsi, padre e madre, e ritrovare un orizzonte
comune esplorando la strada già percorsa continuando però a guardare avanti
perché non possiamo cambiare il passato ma possiamo scrivere un futuro diverso.
Il cambiamento è possibile solo grazie alla conoscenza. Non perdiamo la
speranza, non smettiamo di lottare, fermiamoci e ritroviamoci per costruire coi
nostri figli un legame solido ed equilibrato che duri per sempre, di dote in
dote, di dna in dna, di vita in vita.
Nessun commento:
Posta un commento